Ceta: salta il voto di ratifica in Senato. Tutti i retroscena di questa vicenda

2017-07-26T10:16:27+01:0025 Luglio 2017 - 16:33|Categorie: Mercato|Tag: , , , , , , |

Roma – Il Senato non voterà oggi la ratifica del Ceta, come era invece previsto dal calendario dei lavori dell’aula di Palazzo Madama. La discussione, a meno di nuovi colpi di scena, è stata rinviata a settembre. A pesare sulla scelta, probabilmente, le polemiche scatenate dalla Coldiretti in queste settimane, che hanno spinto i senatori a dilazionare la discussione, nonostante la cruciale importanza del trattato per il commercio internazionale, fondamentale per raggiungere gli obiettivi di aumento dell’export fissati proprio dal governo. Sostenuto dal ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, dai Consorzi di tutela di Dop e Igp che esportano in quel mercato, da Aicig, l’Associazione che raggruppa i consorzi delle Ig italiane, dalle associazione di categoria del settore agroalimentare, dall’industria e dai sindacati agricoli Confagricoltura e Cia, il trattato di libero scambio con il Canada prevede, tra l’altro, l’abbattimento dei dazi che arrivano oggi fino al 250% e che coinvolgono il 92% dei prodotti alimentari esportati in Canada. E introduce tutele importanti per le denominazioni d’origine italiane, in un mercato dove, prima, non c’era alcuna protezione. Ma l’improvvido stop registrato oggi al Senato è frutto di una polemica ben lontana dai reali contenuti del trattato, ampiamente mistificati dai protagonisti della battaglia contro il Ceta, come abbiamo raccontato nell’articolo esclusivo, pubblicato venerdì 21 sulle nostre newsletter, che riportiamo di seguito integralmente.

 

Quella sporca ultima Ceta

Tutte le manovre di Coldiretti. Il blitz (mancato) per sistemare i Consorzi. L’origine in etichetta per pasta e riso. Le ambizioni politiche di Moncalvo.

“Dobbiamo fermare il trattato di libero scambio con il Canada (Ceta) che legittima le imitazioni di tante eccellenze agroalimentari italiane”. Con queste parole d’ordine, il 5 luglio, Coldiretti porta a Roma, con i soliti pullman organizzati e pagati, agricoltori e allevatori, insieme ad altre organizzazioni, per manifestare davanti a Montecitorio contro il trattato, in discussione alla Camera.

Il giorno dopo parte la mobilitazione vera, quella fatta di telefonate, pressioni e chiamate alle armi. Nelle caselle e-mail dei consorzi di tutela di Dop e Igp italiane arriva, dalle sedi regionali di Coldiretti, una ‘proposta’ di comunicato congiunto, da inviare alla stampa. Il testo è sempre il medesimo, a cambiare è solo il nome del consorzio e del referente: “Il trattato è pericoloso […] così abbattiamo le barriere sulla sicurezza alimentare […] Alziamo invece le barricate contro l’offesa del nome, della storia e dell’impegno di migliaia di agricoltori […] giù le mani dai nostri prodotti”, sono le parole che vengono arbitrariamente attribuite a direttori e presidenti dei Consorzi. La chiosa, invece, è sempre affidata al rappresentante regionale di Coldiretti che, bontà sua, “registra con positività la reazione dei rappresentanti dell’ente consortile”.

Atteso il tempo tecnico necessario a leggere l’e-mail e a dare il via libera richiesto, nel caso non fosse arrivato, scatta la telefonata. “Devi dare l’ok, altrimenti… ”. In altri casi, è la buona fede l’arma adoperata. Piccole aziende o consorzi, giunte comunali lontanissime dal Ceta, sono state avvicinate con altri metodi: “Ci servirebbe una dichiarazione contro il trattato. E’ molto importante”. “Non so molto del Ceta”, immaginiamo abbiamo risposto enti di tutela di prodotti che, spesso, non escono nemmeno dai loro confini regionali. “Guarda, fidati di noi. E’ un trattato pericolosissimo verremo invasi da imitazioni. Dobbiamo difenderci, anche i prodotti e gli agricoltori della tua valle/zona/provincia sono a rischio. Abbiamo bisogno di te. Se non sai nulla non preoccuparti, il testo lo scriviamo noi”.

Ed ecco così comparire, a tutta pagina, su giornali anche nazionali, articoli di consorzi spesso alla loro prima dichiarazione stampa, preoccupatissimi del fatto che i loro prodotti  possano subire danni irreparabili per l’adozione del Ceta.

Ma perché tanto accanimento? Il Ceta tutela le denominazioni d’origine italiane in un mercato dove, prima, non c’era alcuna protezione. Abbatte dazi che arrivano oggi fino al 250% e che coinvolgono il 92% dei prodotti alimentari che esportiamo in Canada. Toglie la possibilità agli Usa di vendere imitazioni, come oggi avviene, in quel mercato. Non altera in alcun modo il sistema di protezione di Dop e Igp in vigore in Europa: mai potremo essere invasi in casa nostra da prodotti che li imitino. Così come non altera la chiarissima e restrittiva legislazione europea in tema di sicurezza alimentare, Ogm e ormoni nelle carni.

I fatti, semplicemente, sono questi. Il resto sono balle. Ma i fatti sui quali si sta giocando la partita del Ceta, evidentemente, sono ben altri. Ieri, giovedì 20 luglio, Coldiretti ha ottenuto anzitempo la firma del decreto sull’indicazione d’origine per grano e riso. Ma sicuramente non basta questo a giustificare tanto rumore. Seguire il denaro, come sempre, è la strada migliore. Che porta dritta a un’altra faccenda, solo in apparenza lontanissima: il decreto legge ‘Resto al Sud’, (20 giugno 2017, n. 91) che ha l’obiettivo di incentivare i giovani all’avvio di attività imprenditoriali nelle regioni del Mezzogiorno. Nel testo è stato inserito un emendamento che nulla c’entra e che estende la mutualità prevalente ai consorzi agrari e alle loro partecipate. Con tutti i benefici fiscali, prebende, annessi e connessi. Un regalo a strutture da tempo nelle mani saldissime di Coldiretti, gravate da un debito di 989 milioni di euro.

“L’emendamento proposto”, si legge nel documento che accompagna il decreto, “ha come finalità quella di estendere espressamente ai consorzi agrari la possibilità di partecipare a società di capitali, ciò che è già previsto per le cooperative (si veda la legge 72/1983). Una estensione ritenuta necessaria in considerazione della rilevante funzione pubblica e sociale propria dei consorzi e della constatata situazione di difficoltà finanziaria e di funzionamento in cui molti di essi versano”. Per fortuna però, è notizia di oggi, l’emendamento è stato stoppato. Ma solo grazie alla mobilitazione delle associazioni di settore.

Torniamo al Ceta. L’accordo, dopo lunghe trattative, rischia concretamente di subire un pericolosissimo stop al Senato. Sacrificato sull’altare dell’ambizione politica, del miliardo di euro, della volontà forse di far cadere il governo, della battaglia personale del presidente Roberto Moncalvo, che vorrebbe arrivare alla ‘grande politica’. Piccolo particolare: il nostro è anche vicepresidente del Copa-Cogeca, l’organo che raccoglie i sindacati agricoli europei. Organo che ha accolto con favore, ufficialmente, la definitiva approvazione del Ceta da parte del parlamento europeo. Ma come? In Europa sì e in Italia no?

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