Domenica maledetta domenica.
La posizione di Filcams-Cgil sulle aperture nei giorni festivi

Il 31 dicembre scade il contratto nazionale del terziario, della distribuzione e dei servizi. La liberalizzazione degli orari al centro del dibattivo. Parla Maria Grazia Gabrielli, responsabile nazionale Filcams-Cgil.

 

Aperture domenicali e nei giorni festivi? No, grazie. Netta e perentoria la posizione di Filcams – Cgil, alla vigilia di ridiscutere il Contratto collettivo nazionale del terziario, della distribuzione e dei servizi, in scadenza il 31 dicembre 2013. Trattativa che si preannuncia intricata, perché molti sono i nodi da sciogliere e tra questi proprio quello relativo alle aperture domenicali e nei giorni festivi, “liberalizzate” dall’articolo 31 del decreto “Salva Italia”, emanato nel dicembre 2011, dal Governo Monti. Tema controverso, che sembra essere tra i motivi di qualche tensione in Federdistribuzione (con la recentissima uscita di Aires, di cui abbiamo parlato nell’ultima newsletter). “Siamo ai nastri di partenza, ma il clima è complicato”, conferma Maria Grazia Gabrielli, responsabile nazionale Filcams-Cgil per il Ccnl del terziario, della distribuzione e dei servizi. “Gd e piccole medie imprese sono accomunate da una situazione economica non facile, legata al generale calo dei consumi. E la frammentazione della parte datoriale, dopo l’uscita da Confcommercio di Federdistribuzione (datata 23 dicembre 2011, ndr), di poco successiva alla liberalizzazione, non aiuta certo il confronto”.

Quindi quello delle aperture domenicali è il tema più spinoso?

Indubbiamente la discussione sull’orario monopolizza una fetta consistente del confronto. Anche perché esistono visioni differenti in Federdistribuzione e Confcommercio. Come suggerisce la diversa reazione alla notizia delle liberalizzazioni.

Cioè?

Federdistribuzione ha salutato con grande soddisfazione questa nuova possibilità, pur con la consapevolezza che le aperture possono essere costose e non sono una soluzione tout court. Confcommercio si è mostrata decisamente più prudente, anche perché espressione di un mondo di Pmi, non di rado a conduzione famigliare, per cui le aperture festive possono rappresentare una spesa proibitiva.

E all’interno di Federdistribuzione?

Anche al suo interno non sembra esserci una singola linea comune, perché alcune aziende sono più attente ai costi per mantenere aperti i negozi tutte le domeniche.

Quali ad esempio?

Diciamo che la liberalizzazione è strategica nel modello organizzativo dei gruppi della grande distribuzione organizzata.

In un certo senso un dibattito tra grandi e piccoli…

Si sostiene che la liberalizzazione sia sinonimo di libertà di mercato. In realtà una Pmi e una catena della Gd partono da posizioni molto diverse, per cui diventa difficile che sulle aperture si assista a una dinamica concorrenziale equa.

I sindacati sono comunque fermamente contrari?

C’è contrarietà netta per quanto riguarda le aperture domenicali fisse. Dopo quasi due anni dall’avvio delle liberalizzazioni, non abbiamo assistito a reali benefici. Per quanto riguarda l’occupazione questa potenzialità non si è tradotta in nuove assunzioni, ma al massimo nel mantenimento degli organici esistenti. Ma il rischio è quello che, proprio a causa delle liberalizzazioni, i lavoratori si trovino di fronte a condizioni peggiorative.

Ad esempio?

Ad esempio, un lavoratore della distribuzione che ha firmato un contratto tre anni fa, in cui si rendeva disponibile a lavorare la domenica, contava sul fatto che le aperture festive erano limitate e regolamentate a seconda della normativa regionale. Ora con la libertà concessa alle aziende di aprire tutte le domeniche, si trova nella condizione di dover garantire costantemente la propria presenza, nella piena discrezionalità dell’azienda.

È una situazione diffusa?

Le differenze contrattuali da azienda ad azienda, cambiano spesso in modo sostanziale. Non nego che spesso si ha la sensazione di muoversi in una giungla.

L’alternativa quale potrebbe essere?

Sosteniamo da tempo la possibilità di una regolamentazione delle aperture che non significa  chiudere tutte le domeniche, ma trovare soluzioni più equilibrate, che salvaguardino le esigenze di tutti. Anche perché non ci troviamo di fronte a un servizio di pubblica utilità, per cui è indispensabile tenere aperto. Qualche sperimentazione, in questo senso, era già stata attuata, con buoni risultati.

E sul tema dei costi?

Abbattere i costi del lavoro nelle aperture domenicali, per le catene distributive significa operare con impianto a pieno regime. Nella contrattazione terremo fermo il punto che l’apertura domenicale non deve essere a costo zero per le aziende.

Eppure le liberalizzazioni vengono viste come una soluzione moderna. Un po’ come avviene in tutta Europa…

In Europa, in realtà, il quadro è molto variegato: liberalizzazione assoluta in alcuni paesi e altri in cui la domenica i negozi rimangono chiusi e, talvolta, il sabato si lavora fino alle 18. Ad esempio in alcune zone della Germania e dell’Olanda. Dobbiamo quindi guardare a un modello europeo che si richiami alla libertà di concorrenza reale, non alla rincorsa spasmodica alla liberalizzazione selvaggia, che non rientra nel quadro unitario europeo.

A prescindere dal Contratto nazionale, i rapporti tra sindacati e distribuzione sembrano sempre molto tesi. Come mai?

Non c’è un’unica ragione, ovviamente. Siamo di fronte ad un settore che affronta una forte crisi, soprattutto per quel che riguarda il formato iper. La politica delle ampie metrature, dopo l’exploit degli scorsi anni, incontra notevoli difficoltà e fatica, proprio a causa delle proprie dimensioni, ad adattarsi al mutato contesto economico. Dal 2008 il crollo del reddito del consumatore ha reso più aspra la “competizione da costo” e lo scontro commerciale sui prezzi e, di conseguenza, più difficile la sopravvivenza dei grandi punti vendita.

Quali sono le conseguenze per i lavoratori?

In tempi di crisi, soprattutto occupazionale, alle aziende sembra legittimo spingere sulla leva della flessibilità e della contrazione dei costi. Dapprima in modo transitorio, poi con proposte contrattuali che la rendano definitiva. Una strategia che risulta peggiorativa per le condizioni di lavoro. E che porta naturalmente a misurarsi, anche in modo duro, con le istanze sindacali.

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