Etichette: il troppo stroppia

2020-08-28T11:38:36+02:0028 Agosto 2020 - 12:30|Categorie: Mercato|Tag: |

‘Too much information: understanding what you don’t want to know’. Ovvero: ‘Troppe informazioni: capire ciò che non volete conoscere’. E’ il titolo del libro, in uscita a settembre, di Cass Sunstein, economista della Harvard Law School, studioso di diritto e già consulente di Barack Obama dal 2009 al 2012, quando ha ricoperto la carica di dirigente dell’Office of information and regulatory affairs del governo americano.

La tesi è decisamente controcorrente: le informazioni obbligatorie in etichetta non sortiscono gli effetti sperati e, il più delle volte, sono perfino controproducenti.

Intervistato nei giorni scorsi dal Venerdì di Repubblica, Sunstein ha smontato punto per punto molte credenze consolidate sul sistema di etichettatura trasparente. A partire da un cruccio: quello di aver rovinato agli americani “il piacere del pop corn”. Spiega l’economista: “Quando lavoravo per il governo, abbiamo studiato soluzioni come le etichette con le calorie per ristoranti e fast food. Io ho suggerito di mostrarle anche nei cibi venduti al cinema. Quando queste regole sono diventate legge, ho scritto a un mio amico per celebrare quella che consideravo una mia vittoria. Lui mi ha risposto così: ‘Ecco, Cass ci hai rovinato il pop corn’”. Il motivo di questa reazione è presto detto: “Chi va nelle sale desidera godersi la serata, non vuole pensare che sta diventando grasso per colpa del pop corn. A leggere queste etichette sono soprattutto coloro che non sono a rischio obesità e che non hanno problemi di autocontrollo col cibo. Chi li ha, invece, per non permettere che ‘gli rovini il pop corn’, ignorerà l’etichetta. Insomma, un risultato negativo in entrambi i casi. I governi dovrebbero fare valutazioni più accurate su costi e benefici delle informazioni obbligatorie”.

L’economista sostiene che esplicitare le informazioni possa anche incoraggiare comportamenti rischiosi: “A volte è meglio saperne meno. Sappiamo che negli Stati Uniti chi è più povero tende a ritenere che i suoi (pochi) soldi siano meglio spesi in cibi che offrono più calorie per dollaro. Quindi le etichette con le calorie, per questo tipo di consumatore, finiscono per incoraggiare l’acquisto dei cibi da fast food, e quindi per aumentare – invece che diminuire – l’obesità”.

Stesso discorso per gli Ogm: “La semplice scelta di informare, anche al di là del contenuto dell’informazione, può suonare allarmante per i consumatori, che quindi si astengono dall’acquistare un prodotto. Non ci sono, a oggi, prove scientifiche certe della nocività degli Ogm. I cittadini però possono pensare che il governo imponga di specificarne la presenza perché ‘sa’ che sono dannosi. In questo caso a essere fuorviante non è l’etichetta, ma è la percezione che il consumatore ha delle motivazioni del governo”.

C’è poi un altro aspetto cruciale: l’essere umano, pur con tutte le informazioni di questo mondo, e nonostante gli algoritmi e le pressioni mediatiche, è ancora libero. Quindi è impossibile da inquadrare in uno schema causa-effetto. “Esistono consumatori che non cambieranno il loro comportamento d’acquisto qualsiasi cosa gli si dica: ricordargli che le patatine ingrassano, o che il fumo provoca tumori, non ha alcun effetto pratico sulla loro salute; serve solo a peggiorare il lato nevrotizzante della loro esperienza di consumo. I governi, semmai, potrebbero chiedere ai ristoranti di mostrare i rischi per la salute in modo più personalizzato, via app. Per non ‘rovinare il pop corn’ indiscriminatamente a tutti”, conclude.

E se questo può valere per l’Horeca, la faccenda cambia quando si parla di Distribuzione moderna. E’ evidente che in questo canale una comunicazione personalizzata è impossibile: le etichette sui prodotti devono essere le stesse per tutti. Comunque, il messaggio di Sunstein sul tema è chiarissimo: less is more, come dicono dalle sue parti. Oppure, come si dice dalle nostre, il troppo stroppia.

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