Lunga lettera di Bernardo Caprotti al Corsera. “Siamo una multiprovinciale che deve difendersi dalla Pa”

2013-09-11T11:28:50+02:0011 Settembre 2013 - 11:23|Categorie: Retail|Tag: , , |

Milano – Il Corriere della Sera di oggi pubblica una lunga lettera, indirizzata al direttore, del patron di Esselunga, Bernardo Caprotti (foto), in risposta ad un articolo pubblicato l’8 settembre a firma di Ricardo Franco Levi. Ecco alcuni stralci. “Siamo un’azienda di qui, una multiprovinciale che neppure riesce ad insediarsi a Genova o a Modena, per non dire di Roma ove io poco, ma i nostri urbanisti si sono recati forse 2mila volte in dodici anni nel tentativo di superare ostacoli di ogni genere, per incontrare adesso il niet del nuovo sindaco del quale si può dire soltanto che è un po’ “opinionated”, scrive Caprotti. Che si sofferma sulle difficoltà incontrate dalla sua azienda. “Noi, diversamente da Luxottica, Ferrero, Pirelli, Squinzi, Bombassei, Calzedonia, siamo un’impresa al 100% italiana (Pirelli, credo, italiana al 17%). E come tale un’impresa che deve difendersi dalla Pa (pubblica amministrazione) in tutte le sue forme e a tutti i suoi fantasiosi livelli ogni giorno che Dio comanda. Tassata al 60%, non più minimamente libera di scegliersi i collaboratori (la signora Fornero ha “garantito” anche i soggetti assunti in prova), Esselunga si trascina. Porta ancora avanti vecchi progetti, cose nelle quali, incredibile dictu, si era impegnata ancora al tempo delle lire. Per realizzare un punto vendita occorrono mediamente da otto a quattordici anni. Ma per Legnano ventiquattro; mentre a Firenze forse apriremo l’anno prossimo un Esselunga di là d’Arno, una iniziativa partita nel 1970! Così, ultimamente, abbiamo cancellato ogni nuovo progetto”. Infine Caprotti parla anche della Gdo in Italia. “Noi abbiamo soltanto cercato di dare un po’ di eleganza, di efficienza, di carattere ad un mestiere assai umile. A livello internazionale ciò ci è riconosciuto. Ma nel paese non siamo ben accolti. E per soprammercato facciamo un mestiere che nel nostro stranissimo paese è politico. Perché? Perché sono “politici” i due più grandi operatori nazionali”.

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