Torino – Nel pomeriggio di sabato, alcuni attivisti del movimento Ultima Generazione, unitamente ai militanti di BDS Italia (Boicotta, Disinvesti, Sanziona), hanno inscenato un’azione di protesta all’interno del supermercato Carrefour di corso Montecucco a Torino. Dopo aver riempito i carrelli come se fossero clienti, i manifestanti hanno interdetto l’accesso alle casse, dove hanno esposto bandiere palestinesi e striscioni che da un lato rimarcavano una presunta complicità dell’azienda francese della Gd con quanto sta compiendo lo Stato di Israele a Gaza israeliana e dall’altro denunciavano una crescita dei prezzi.
L’azione si colloca nell’attività internazionale di boicottaggio contro Carrefour, promossa dal movimento BDS dal 21 al 28 maggio. Secondo gli attivisti, Carrefour sarebbe coinvolta economicamente con società israeliane operanti negli insediamenti in Cisgiordania. Nel materiale diffuso durante la protesta vengono citate Electra Consumer Products e la sua controllata Yenon Bitan, che distribuirebbero prodotti a marchio Carrefour nei territori occupati.
La protesta non riguarda solo la questione della solidarietà internazionale alla Palestina: si mescola infatti alla GDO, accusata di arricchirsi a scapito dei produttori e dei lavoratori, in una campagna denominata “Il Giusto Prezzo”, che domanda un intervento delle istituzioni per calmierare i prezzi alimentari, ma anche un nuovo modello agricolo sostenibile e il finanziamento della transizione ecologica attraverso la tassazione degli extraprofitti delle grandi imprese.
Resta, a nostro parere, il fatto che i lavoratori di Carrefour Italia non sono in alcun modo legati a presunte attività e partnership del gruppo, che s’inquadrano in un contesto del tutto differente. I boicottaggi di questo genere sono sempre esistiti. Spesso si rivelano strumentali, un mero momento di propaganda. La comunità internazionale nelle ultime settimane è parsa sempre più orientata a chiedere a Israele di desistere dall’azione di feroce repressione che sta mettendo in atto a Gaza. È semmai sul fronte politico che trova una ratio la protesta, come esercizio, in forme non violente, di una pressione volta a chiedere una interlocuzione più decisa e autorevole verso Tel Aviv. I punti vendita sul territorio, e il complesso di un’attività commerciale svolta sul territorio italiano non c’entrano niente, e le intimidazioni inscenate nella giornata di sabato non hanno ragione di essere.