Kuala Lampur (Malesia) – L’olio di palma di nuovo al centro del dibattito internazionale. Da una parte ci sono i paesi industrializzati, che lo accusano di essere nocivo e causare il disboscamento delle foreste; dall’altra gli emergenti, che non sembrano più tanto inclini a lasciare che l’Occidente faccia il bello e il cattivo tempo a casa loro, come spiega un articolo pubblicato oggi su Il Sole 24 Ore. “La Malesia è ufficialmente impegnata sul fronte della sostenibilità, ma come Paese dobbiamo coniugare la sostenibilità con il diritto allo sviluppo della nostra popolazione”, commenta Douglas Uggah Embas, ministro per le piantagioni e l’industria dell’olio di palma della Malesia. Il secondo paese al mondo, dopo l’Indonesia, per volumi produttivi. Strumenti a difesa dell’ambiente già esistono, ma purtroppo alla fine, a dettare la morale, è ancora una volta il portafogli. Lo dimostra il caso della United Plantations, una delle tenute di palme malesi a più alto taso di responsabilità ambientale e sociale, che detiene il bollino Rspo: la certificazione voluta dalle Ong per riconoscere il prodotto non proveniente da aree deforestate. “Noi ci siamo adeguati, ma dov’è la domanda?”, chiede Carl Bek-Nielse, proprietario danese della compagnia. L’olio certificato costa infatti il 15% in più e alla fine della filiera non sono molti quelli disposti a pagarlo. “I più grandi acquirenti di olio di palma oggi sono la Cina, l’India, il Pakistan e la Nigeria. L’India da sola consuma più olio di palma di tutta la Ue 27. E nessuno di questi paesi sente il bisogno di comprare olio di palma certificato”, spiega Yusof Basiron, ceo del Malaysian palm oil council.
ESTERI
“Giù le mani dall’olio di palma”. La voce dei paesi emergenti
federica2014-12-01T12:00:24+02:001 Dicembre 2014 - 12:00|Categorie: Dolci&Salati|Tag: olio di palma, paesi emergenti|
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