Ferrarini: pacco, doppio pacco e contropaccotto

2020-11-13T16:22:54+02:004 Settembre 2020 - 10:19|Categorie: Aperture del venerdì|Tag: , , , |

Due proposte di concordato a confronto. Da una parte la cordata Bonterre & C. Dall’altra il Gruppo Pini e Amco. In mezzo politici e associazioni di categoria. Ma soprattutto: la famiglia…

Due proposte di concordato, un’azienda pubblica e due banche, quattro società, due tribunali: sono i numeri di un pasticciaccio all’italiana che si sta consumando, sulla pelle di lavoratori e creditori, da oltre due anni. È la crisi Ferrarini. Iniziata con una proposta di concordato in continuità e proseguita con improvvise accelerazioni e altrettanto improvvisi stop. Stiamo parlando di una società che ha lasciato sul campo circa 250 milioni di debiti coinvolgendo circa 1.500 fornitori. Ci aveva provato Amadori, nel 2018 a proporre una soluzione per Vismara. Abbandonata però, verso la fine del 2019, per la mancanza di chiarezza in merito ai dati economici di Ferrarini. E’ stata poi la volta del Gruppo Bonterre – Grandi Salumifici Italiani che, da un iniziale interessamento, è passato poi a una proposta concreta, depositata il 10 agosto di quest’anno. Della cordata fanno parte: Opas, la più grande organizzazione di prodotto fra allevatori di suini in Italia e Hp, società attiva nel sostegno e nell’innovazione dell’agrifood. Con in più il sostegno di Intesa Sanpaolo e Unicredit, due banche che lamentano “sofferenze economiche” significative nei confronti di Ferrarini. Una proposta che mette in campo 50 milioni di euro subito, al servizio del ripagamento dei creditori, e la costruzione di un processo di filiera tutto italiano.

Si attendeva dunque la risposta della famiglia Ferrarini. Arrivata puntualmente il 31 agosto. La nuova proposta concordataria vede schierati, in una società denominata Rilancio Industrie Agroalimentari srl, da una parte il Gruppo Pini – attivo nella produzione di bresaola e nella lavorazione di carni suine, con stabilimenti in Italia, Spagna e Ungheria – e Amco. Quest’ultima si definisce come una Asset Management Company nel settore dei crediti deteriorati. Nasce nel 2019 dalle ceneri di Sga, all’inizio bad bank del Banco di Napoli. Una banca che aveva affidato a Sga i crediti deteriorati.

Nel corso degli anni altre banche affidano alla società le loro “sofferenze”: fra queste la Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Amco ha il compito di recuperarle e perseguire politiche di ristrutturazione finanziaria e aziendale. Ecco dunque l’intrecciarsi di due competenze, una industriale e l’altra finanziaria. In un piano che, secondo i promotori: “Assicura il rilancio dell’impresa, salvaguarda i livelli occupazionali, evita ricadute negative sull’indotto e soddisfa i creditori privilegiati e in prededuzione integralmente e i creditori chirografari al 33 per cento”. Una condizione questa che, sempre secondo la cordata Pini/ Amco: “Rende inammissibile la proposizione di concordati concorrenti”. Della serie, la proposta di Bonterre & C. diventerebbe così carta straccia. Se in teoria dunque, la scelta fra le due proposte è affidata all’assemblea dei creditori, con il piano Pini/Amco tutto si sposta nelle mani del Tribunale di Reggio Emilia. Che, a questo punto, potrebbe decidere di evitare l’assemblea e di far vincere la cordata Pini/ Amco.

Ma su tutto pende il ricorso di Intesa Sanpaolo e Unicredit che hanno impugnato avanti alla Corte di Appello di Bologna i due decreti di estinzione della vecchia procedura e avvio della nuova procedura per l’abusività della manovra di Ferrarini (tesa a evitare la presentazione della proposta concorrente e acquisire più tempo) e per incompetenza del Tribunale di Reggio Emilia. Un bel casino dunque. In mezzo ci sono state interpellanze parlamentari e interventi di Coldiretti, Confagricoltura, Alleanza Cooperative Agroalimentari, Legacoop. Tutti a favore della cordata Bonterre & C. Fra gli altri vale la pena citare l’interpellanza di Michele Anzaldi, deputato di Italia Viva, durissima nei confronti della proposta Pini/Amco.

Come sono lontani i tempi del “pappa e ciccia” della famiglia Ferrarini con Matteo Renzi. L’allora premier, nel giugno del 2016, era venuto in visita agli stabilimenti Ferrarini in Emilia. Con baci e abbracci per tutta la famiglia. Di più, l’amicizia era così salda che Lisa Ferrarini, ai tempi del referendum voluto da Renzi sull’abolizione del Senato, aveva invitato tutti i dipendenti a votare sì. Sappiamo com’è finita. Una maggioranza bulgara di italiani votò no e Renzi si dimise da premier. Il cammino verso una soluzione definitiva si presenta dunque lungo e accidentato. Ma c’è la parte finale del comunicato stampa del Gruppo Ferrarini che allarma molti operatori. Così recita: “La struttura aziendale ne uscirà molto rafforzata: alle competenze ed esperienze di oggi, mantenute grazie alla collaborazione garantita dalla famiglia Ferrarini, si sommeranno quelle industriali del Gruppo Pini e la solidità finanziaria di Amco”.

Pensare che la famiglia, dopo i disastri che ha combinato, possa ritornare sul mercato, lascia stupiti. Soprattutto i creditori… Cosa ci riserva dunque il futuro? Il 25 settembre è prevista l’udienza a Bologna per il reclamo presentato da Intesa Sanpaolo e Unicredit. In caso di vittoria dei proponenti, la proposta Pini/Amco verrebbe rimessa in discussione. E potrebbe anche diventare inammissibile. Il classico contropaccotto.

Torna in cima