Francesca non mangia le fragole

2024-07-12T12:24:14+01:0012 Luglio 2024 - 12:24|Categorie: Editoriali del direttore|Tag: |

Di Margherita Luisetto

Non ci siamo. Francesca Giubelli è il nome che rimbalza da un social all’altro, e che in questi giorni fa parlare di sé. Ha 24 anni. È bella, capelli lunghi e mossi, incarnato olivastro. Professione: influencer. Su Instagram conta 12mila follower. Il suo profilo ha ottenuto la ‘spunta blu’ di Meta (il badge tanto ambito da blogger, personaggi pubblici e youtuber, che consente una maggiore credibilità e affidabilità del profilo). Ma, in realtà, Francesca non esiste. È un personaggio generato dall’intelligenza artificiale, il prodotto di una delle ultime frontiere della tecnologia AI: quella di creare influencer. Già. Francesca Giubelli è nata a Roma nel 2020 dalle menti di Francesco Giuliani, Valeria Fossatelli ed Emiliano Belmonte (una moderna famiglia allargata, potremmo dire). E quando ha aperto gli occhi il suo obiettivo era chiaro: diventare un’icona digitale per promuove il patrimonio artistico, culturale e culinario italiano. Sul suo profilo Instagram, infatti, posta contenuti che spaziano tra moda, cibo, sport e politica.

Tuttavia, lei non può mangiare le fragole perché è un personaggio immaginario. Perché ce l’ho con le fragole? Semplice. A inizio giugno Francesca è stata ‘invitata’ a Nemi, un piccolo comune di 1.800 abitanti fuori Roma, per partecipare alla 91esima Sagra delle fragole. Che idea geniale, diranno in molti. Bella trovata di marketing, dico io. Ma ha senso? L’ho chiesto a ChatGpt, giusto per rimanere in famiglia: “Ehi, perché invitare un’influencer virtuale a una sagra del cibo?”. Mi ha risposto, in tono sicuro: “Il progetto punta a innovare il modo in cui si promuovono i valori e i prodotti italiani”. Ahi ahi ahi, non poteva dire castroneria più grande, ‘promuovere valori e prodotti italiani’. Non ci siamo (e due). I valori sono propri dell’essere umano. E i prodotti italiani sono frutto di un saper fare che solo l’uomo può comprendere. Lei non può capirne un granché.

Allora ci domandiamo qual è la strategia che c’è dietro. Le nuove teorie e tecniche di comunicazione ci insegnano che si tratta di una buona strategia di marketing, utile ad attrarre un pubblico giovane e tecnologicamente avanzato. La ‘partecipazione’ di Francesca servirà ad aumentare la visibilità dell’evento sui social media. Lei potrà fornire dettagliate informazioni sulla festa, come la storia della sagra o le tecniche di coltivazione delle fragole – ma credo prenda informazioni da un comunicato stampa, scritto da un povero ‘amanuense’ chino davanti al suo computer -. Fa parlare di sé e, di conseguenza, dell’evento stesso. E poi? Poi basta. Anzi, c’è un aspetto fondamentale che manca. E non mi riferisco alle basi dell’informazione, quali autorevolezza e credibilità. Manca l’empatia. Quella connessione emotiva tra chi racconta e il suo pubblico che ci permette di condividere le esperienze e l’autenticità della narrazione. Quel filo vibrante che arriva al cuore di chi sa ascoltare. Soprattutto se parliamo di cibo. Odorare, assaporare, vedere, prima di tutto. Ma anche sentire: le storie di chi il cibo lo produce e lo trasforma; il legame tra l’uomo e il suo territorio; la profonda relazione tra cultura e tradizione. Ma tutte queste cose, voi che leggete le nostre riviste e i nostri post, già le conoscete

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