Tokyo (Giappone) – In Giappone, il prezzo medio al dettaglio per una confezione da cinque chili oggi è di 4.206 yen (pari a 26,25 euro), più del doppio rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. La gravità della situazione ha portato lo Stato a mettere sugli scaffali dei negozi le riserve di emergenza governativa (leggi qui). Quali le cause?
Per decenni il Giappone ha costruito attorno al riso un sistema di regolazione fondato, come si legge oggi in un articolo de Il Sole 24 Ore, su quote di produzione ridotte per sostenere i redditi agricoli, importazioni limitate a poco più di 680mila tonnellate, tariffe di ingresso proibitive con dazi ad valorem che variano da 350-800%, un muro tariffario che isola il mercato giapponese dalle dinamiche globali mantenendo artificialmente alti i prezzi interni. Un impianto normativo che ha garantito una stabilità interna ma che ora trema. Eventi climatici avversi hanno colpito i raccolti a metà 2024 e il mercato ha dovuto aumentare le importazioni. Poi, a febbraio 2025, dopo mesi di continuo aumento dei prezzi, il governo ha iniziato a rilasciare delle riserve strategiche avviando una misura emergenziale senza precedenti nella storia del settore. Ma una distribuzione centralizzata in mano al sistema cooperativo ha compromesso la situazione: emblematico il caso della gestione delle aste per il rilascio delle riserve strategiche dove i requisiti imposti (volumi minimi e previsioni sull’obbligo di riacquisto) hanno escluso i piccoli distributori, permettendo all’organismo centrale del sistema cooperativo giapponese di accaparrarsi il 94% del primo lotto messo all’asta, vanificando l’intervento governativo.
Quale via d’uscita? La soluzione, come analizza il quotidiano, non può che passare attraverso una riforma strutturale del settore agricolo: una graduale liberalizzazione delle importazioni, il superamento delle attuali distorsioni concorrenziali legate a posizioni dominanti consolidate e incentivi mirati all’efficienza produttiva.