Milano – La burrata piace a tutti. Secondo alcuni dati Nielsen pubblicati dal Sole 24 Ore, in 24 mesi, nell’anno finito lo scorso maggio, le vendite di quella confezionata a peso fisso sono aumentate del 40% a valore e del 42% a volume in Gdo, oltrepassando i 56 milioni di euro. Si sommano poi le vendite in gastronomie e negozi di specialità, oltre che nel canale della ristorazione. Che all’estero fa da traino alla diffusione di questa pasta filata. Un simile successo, però, mette in difficoltà la produzione, come sottolinea il quotidiano. Il reperimento della manodopera è difficile perché la manualità è fondamentale per realizzare la burrata. Per non parlare dell’aumento dei costi energetici e dei packaging, che erodono i margini delle aziende produttrici. E del latte di qualità, che scarseggia.
Un ulteriore problema risiede nella ridotta shelf life della burrata, che ne ostacola l’esportazione nel Far East. Motivo per cui il Consorzio di tutela della Burrata di Andria Igp, insieme alle Università di Foggia e di Bari, ha avviato un progetto-pilota che sfrutta le mild technologies conservative per prolungarla in modo significativo.