Questa pubblicità è ben pensata e ben realizzata. Un caso più unico che raro, quello in cui un brand storico attende abbastanza a lungo il momento per reinventarsi, senza sentire il puzzo del posticcio. Non un rebranding, ma un riposizionamento senza tradire le radici. Il brand rimane quello, eterno, intoccabile; il gusto, invece, è tutto nuovo (clicca qui per vedere il video).
Obiettivo della Comunicazione
“Il lusso di osare”: esperienza e coraggio. Di questo e di null’altro necessitava un marchio che quest’anno celebra i suoi 230. È vero: osare è un lusso che in pochi possono permettersi e, a differenza di tanti competitor, Tassoni riesce nell’intento di spolverare Mina senza fare a meno di Mina. Mina c’è, ma è un jingle in ascensore, ovattato, in un’ambientazione retrò da Grande Gatsby (ben più addietro di Mina stessa). Perfino il bacio tra la protagonista e l’ascensorista è casto, scevro di volgarità, antico eppure cinematograficamente perfetto. Scriveva Oscar Wilde: “Ciò che non abbiamo osato, abbiamo certamente perduto.” Ed è vero per Tassoni che, in extremis, lo ha ben capito e bene interpretato.
Coerenza strategica con il brand
Tra i più longevi ancora in circolazione, lo spot con Mina era datato 1973. Ci corrono tre generazioni in mezzo. Veniva quell’anno assassinato Luigi Calabresi, scoppiava la guerra del Kippur, veniva rovesciato il governo Allende in Cile, tra gli altri. Il mondo intanto è cambiato e con esso i consumi e i costumi. Il tempo ha premiato Tassoni, portando consiglio e mettendo l’azienda nelle condizioni di valutare al meglio un ritorno con stile, senza ricercare un’erede di Mina, senza clamore, ma con garbo e gentilezza – connotazioni sgradite al contemporaneo.
Rilevanza della promessa
La promessa, per contro, è decisa e ha visione. L’Aperol lo lasciamo alla sua grande impresa di globalizzazione dello Spritz (operazione peraltro notevole), noi raccontiamo un’esperienza distinta, legata al lusso appunto, alla sofisticatezza retrò da Grande Mela o, almeno, da Ville Lumiére della Belle Époque.
La protagonista infatti non si accontenta di farsi trasportare a uno dei piani più alti di un grattacielo, ma punta più in alto, a un tasto che li sovrasta tutti (recante il logo del brand di Salò): è in alto che si osa, è al cielo che ambisce, soverchiante e irraggiungibile. Eppure, una volta raggiunta la terrazza, cosa si staglia all’orizzonte? Un paesaggio mediterraneo, a metà tra il Vesuvio e la Sila greca – l’Italia. Sebbene è dunque all’estero che viene presentata la promessa di un lusso d’oltreoceano, è nel Bel Paese che trova riscontro, con afflato filosofico. C’è dello studio di linguaggio al quale non siamo più abituati, in questo spot. Ne va dato atto.
Coerenza del tono di voce vs target
Qualità della realizzazione
Chi firma questo spot ama il cinema. Se ne intuiscono le influenze tra il Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, la città raccontata da Woody Allen nella sua ‘Midnight in Paris’, e il Gatsby di Baz Luhrman, luccicante e glamour, accecante nel suo splendore. È probabilmente invece dallo spot di Kenzo (con protagonista Margaret Qualley e firmato da Spike Jonze) che il film di Tassoni trae la maggiore ispirazione per mescolare nuovo e antico. Se vi fosse stato un accenno anche minimo di voluttà si sarebbe potuto pensare perfino all’influenza del danese Winding Refn o all’americano Tom Ford; elemento, quello sensuale, al quale siamo felici di poter rinunciare, almeno per una volta.