La strategia del Consorzio del Parmigiano Reggiano negli Stati Uniti si basa su due direttive: la creazione di valore attraverso la Dop e il riconoscimento dei prodotti americani in Europa. Ce ne parla il presidente, in un’intervista esclusiva.
Incontri con istituzioni e operatori di settore. Un evento stampa, a cui hanno preso parte alcune tra le più importanti testate americane. Attività e sponsorizzazioni (non da ultima, quella della squadra di football dei New York Jets). Il Consorzio del Parmigiano Reggiano, in occasione del Summer Fancy Food Show, la fiera newyorkese, che si è svolta dal 29 giugno al 1° luglio, ha messo in campo le migliori risorse. Per l’ente di tutela, infatti, il mercato statunitense, che oggi rappresenta il 22,5% della sua quota export, ha un grande potenziale di sviluppo. A pochi giorni dalla fine della manifestazione, abbiamo intervistato Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano, che spiega la strategia del Consorzio. Che si basa su due direttive: la creazione di valore negli Stati Uniti attraverso la Dop e il riconoscimento dei prodotti americani in Europa. Iniziamo con un bilancio del Summer Fancy Food Show.
Qual è il clima nel mercato americano, viste le attuali tensioni commerciali?
Abbiamo incontrato diversi player: istituzioni italiane e americane, operatori commerciali, importatori ed esportatori. Abbiamo inoltre organizzato un evento stampa presso il ristorante del celebrity chef Tomo Colicchio, al quale hanno partecipato oltre 30 testate americane generaliste e specializzate. Non abbiamo percepito una preoccupazione eccessiva legata alle dinamiche commerciali. Al contrario, il timore è che ci sia scarsa disponibilità di Parmigiano Reggiano. A causa dei dazi, però, è previsto un aumento generalizzato dei prezzi negli Stati Uniti, associato alla perdita del potere d’acquisto del dollaro che si è verificata già a partire da gennaio. Il messaggio che abbiamo voluto trasmettere ai nostri interlocutori, comunque, è molto chiaro: gli Stati Uniti, per il Parmigiano Reggiano, sono un mercato dalle grandi prospettive di crescita. Oggi assorbono il 22,5% della quota export totale della Dop, che rappresenta l’8% in volume e il 16% in valore dei formaggi parmesan venduti negli Stati Uniti. Riteniamo, però, che si possa crescere ancora molto.
Tutto ciò, però, avveniva prima dell’annuncio da parte del presidente Trump dell’entrata in vigore di dazi pari al 30% a partire dal 1° agosto…
Esatto. L’introduzione di un dazio complessivo del 45% sul Parmigiano Reggiano (al 15% che c’è sempre stato, si aggiunge un 30%) rappresenta un danno enorme per un prodotto simbolo del Made in Italy che rischia di perdere competitività su mercati strategici come quello statunitense, primo mercato estero per la Dop. A fronte di un prezzo che, nei prossimi mesi, negli Stati Uniti potrebbe superare i 58 euro al chilo, è urgente una reazione politica chiara e coordinata da parte del governo italiano e delle istituzioni europee. L’Europa, a questo punto, deve scegliere se limitarsi a gestire le emergenze o lavorare davvero per rafforzare la competitività delle proprie filiere agroalimentari. Serve una strategia coraggiosa: via gli ostacoli burocratici che agiscono da dazi interni al mercato unico, taglio ai costi energetici, semplificazione e sostegno concreto alle imprese che esportano eccellenze riconosciute in tutto il mondo. Non possiamo permettere che a pagare il prezzo delle tensioni geopolitiche siano ancora una volta i nostri produttori. Da considerare anche che il nostro è un prodotto premium e che i consumatori americani difficilmente opteranno per formaggi a pasta dura più economici; quindi, alla fine il danno più grosso sarà per il consumatore americano che dovrà pagare di più per avere sulla tavola il nostro formaggio.
Qual è il vostro target di riferimento negli Stati Uniti?
C’è un cluster di consumatori sempre più attenti nella scelta di ciò che mangiano e che prediligono prodotti senza additivi e conservanti, che abbiano un’origine e una tradizione. I prodotti italiani sono dunque molto richiesti. Tuttavia, molti americani ancora non sanno che il Parmigiano Reggiano è differente dal parmesan: è necessario spiegare perché vale la pena spendere qualche dollaro in più per avere in tavola il ‘Re dei Formaggi’.
Quali strategie sta adottando il Consorzio per fare breccia nel mercato statunitense?
È necessario approcciare il mercato in modo organico, lavorando da insider. Per questo motivo, il 27 luglio 2024, abbiamo costituito una corporation con cui abbiamo intenzione di svolgere attività per portare valore nel Paese e creare brand awareness. La nostra comunicazione verte sul messaggio che il Parmigiano Reggiano è molto più di un pezzo di formaggio: è un mito, un’icona, frutto del nostro territorio. È inoltre un prodotto di valore tecnico, qualitativo, organolettico, in grado di generare pure valore economico, non solo per chi lo produce, ma anche, e soprattutto, per le aziende americane che lo distribuiscono.
Che cosa significa, concretamente, lavorare da ‘insider’ negli Stati Uniti?
Significa parlare al consumatore americano nella sua stessa lingua, spiegando che il nostro obiettivo non è semplicemente vendere un prodotto, bensì creare valore per il Paese. Per questo motivo svolgiamo attività di formazione a partire dalle catene distributive, dove tante volte il prodotto è mal gestito. Un esempio su tutti: il grattugiato nei supermercati si trova spesso fuori dal frigorifero, perché alcuni parmesan sono disidratati e possono essere conservati a temperatura ambiente. Il Parmigiano Reggiano, invece, è senza additivi e senza conservanti, quindi se lasciato fuori dal frigorifero, dopo pochi giorni non è più buono. I nostri ‘vigilanti’, dunque, cercano di spiegare alle insegne come conservare al meglio il prodotto. In aggiunta, abbiamo creato un’Academy, dove svolgiamo corsi di formazione, riservati agli operatori delle catene distributive, su come gestire e valorizzare il Parmigiano Reggiano. Con Wegmans, ad esempio, abbiamo già stretto un accordo. Ora stiamo dialogando con Whole Foods Market. Stiamo pure lavorando per creare nuovi packaging, adatti allo stile di vita americano, collaborando con le università. A partire da ottobre 2025, infine, inizieremo a sponsorizzare i New York Jets, squadra newyorkese di football. Raggiungeremo così un bacino da un miliardo di follower.
In quale modo il Parmigiano Reggiano genera valore per gli americani?
Il discorso è molto semplice. La forma intera di Parmigiano Reggiano 24 mesi, che viene acquistata al caseificio a circa 17 euro/kg, negli Stati Uniti viene rivenduta a circa 50 euro/kg. Considerando i costi logistici, più o meno 3 euro/kg, e l’applicazione di un dazio storico del 15%, vale a dire di altri 3 euro/kg circa, il rivenditore ha un margine che si aggira intorno ai 27 euro/kg. Questa cifra è interamente in mano ad aziende americane. Ciò significa che il Parmigiano Reggiano, già oggi, produce molto valore negli Stati Uniti. Ma pensiamo si possa fare di più attraverso una strategia concreta che vada oltre i dazi.
Di che cosa si tratta?
Come Consorzio, vogliamo proporre un dialogo che vada oltre il tema dei dazi: suggeriamo una progettualità concreta, che preveda la creazione reciproca di corridoi commerciali, che consentano l’importazione in Europa di prodotti ad alto valore aggiunto dagli Stati Uniti. Riteniamo infatti che gli ottimi formaggi a latte crudo prodotti in Vermont, Wisconsin, Massachusetts, e legati a quei territori, possano essere riconosciuti e protetti dall’Unione Europea ed essere promossi presso i consumatori europei. Imporre dazi su un prodotto non sostituibile, come il formaggio di qualità, non credo dunque sia una strategia corretta. Noi proponiamo un’alternativa alla logica dei dazi. L’abbiamo presentata anche a Brooke Rollins, segretaria del Dipartimento dell’Agricoltura americano, e ne abbiamo parlato alla stampa in occasione della fiera. Riteniamo che il futuro sia in quei prodotti che hanno un’identità e una distintività tali per cui il consumatore è disposto a pagarli un certo prezzo.
Tutto bene. Ma rimane il problema dell’Italian sounding. Come lo si risolve?
In ogni parte del mondo il consumatore ha una sensibilità e un’impostazione valoriale diversa. Il parmesan fa parte del contesto culturale statunitense, non pretendiamo dunque che il termine sia utilizzato per il solo Parmigiano Reggiano. Negli Stati Uniti, infatti, il formaggio di tipo parmesan è una realtà. Il nostro compito è di conseguenza comunicare le differenze tra i parmesan locali e il Parmigiano Reggiano. Pretendiamo, però, che le confezioni dei parmesan americani non evochino l’Italia attraverso simboli e immagini che possano trarre in inganno il consumatore. In Europa, il discorso è totalmente differente: parmesan, nel nostro Continente, è la traduzione di Parmigiano Reggiano. Ed è così anche in Nuova Zelanda: il termine ‘parmesan’ evoca nel consumatore un prodotto di origine italiana, di conseguenza, in seguito a una causa legale, abbiamo ottenuto che venga riservato al solo Parmigiano Reggiano, oltre che ad alcuni formaggi già in commercio da un certo numero di anni, a patto che non riportino in etichetta simboli che evochino l’Italia. L’Italian sounding si limita mettendo al centro il consumatore.
Un’ultima domanda: in Europa c’è un mercato per i formaggi americani?
Assolutamente sì. C’è un mercato per tutto. Se il prodotto è meritevole, come lo sono tanti formaggi americani, un mercato c’è. Quel che conta è che l’etichettatura sia trasparente. Occorre, infatti, andare oltre la più semplice logica industriale, secondo cui per vendere un prodotto serva utilizzare una denominazione o dei simboli evocativi. Sottolineo, inoltre, che l’Europa ha 450 milioni di consumatori con una capacità di spesa medio-alta unica al mondo.