Castaneda (Nmpf): “Gli Stati Uniti devono imporre dazi sui prodotti lattiero caseari europei”

2025-06-27T13:43:54+02:0027 Giugno 2025 - 13:28|Categorie: Aperture del venerdì, in evidenza|

I temi più caldi del comparto dairy americano e le sue relazioni commerciali con l’Europa. Intervista esclusiva con il vice presidente della National Milk Producers Federation.

I più recenti trend del settore lattiero caseario americano. E i dazi, chiaramente. Abbiamo intervistato Jaime Castaneda, vice presidente della National Milk Producers Federation (Nmpf), la federazione americana dei produttori di latte. Abbiamo parlato di alcuni dei temi più caldi che riguardano il settore lattiero caseario statunitense così come delle sue relazioni commerciali con l’Europa. Secondo Castaneda è tempo di rinegoziare gli accordi in essere. Per farlo, occorre partire proprio dall’imposizione di dazi sui prodotti alimentari e agricoli.

Cominciamo con qualche numero: qual è l’andamento della produzione di latte negli Stati Uniti?

Nel Paese ci sono oltre 9 milioni di vacche e circa 30mila allevatori. Inoltre, la produttività americana è seconda sola a quella di Israele. La produzione è cresciuta nel corso degli anni, sebbene l’andamento non sia stato costante a causa dell’oscillazione dei prezzi. Le quotazioni, infatti, sono state piuttosto basse negli ultimi due anni, di conseguenza sono stati fatti pochi investimenti e le aziende agricole non sono cresciute. In ogni caso, non si è verificato un significativo calo produttivo. Anzi, nel 2025, la raccolta ha ripreso a crescere.

Quali sono, invece, i principali prodotti lattiero caseari realizzati negli Stati Uniti?

Nel nostro Paese produciamo ogni derivato del latte. È un prodotto straordinario che contiene tantissimi nutrienti, utili per la trasformazione di molti prodotti. Siamo il maggiore paese produttore ed esportare di formaggi al mondo. Siamo secondi solo all’Europa, considerandola come regione. Esportiamo circa il 18% della nostra produzione, mentre importiamo il 5% di quanto consumiamo. Esportiamo principalmente ingredienti a basso prezzo, mentre importiamo prodotti ad alto valore aggiunto. Tuttavia abbiamo un deficit commerciale negativo con l’Europa, che esporta negli Stati Uniti prodotti lattiero caseari per un valore di circa 3 miliardi di dollari. Il deficit odierno è il risultato degli accordi commerciali siglati dopo la II Guerra Mondiale, che hanno aperto agli europei il mercato americano. All’epoca, infatti, non eravamo un paese esportatore. Oggi, però, non è più così.

Qual è dunque il suo punto di vista sui dazi voluti dal presidente Trump?

Sono contrario all’imposizione di dazi ‘a tappeto’, ad esempio, nei confronti di paesi rispetto a cui la bilancia commerciale è positiva. Tuttavia, sono favorevole a tassare i prodotti agricoli e alimentari di importazione europea, perché è necessaria maggiore reciprocità. Basti pensare che gli Stati Uniti esportano più formaggio verso Trinidad Tobago che verso l’Europa! Eppure vantiamo un gran numero di eccellenze, che hanno perfino ottenuto premi riconosciuti a livello mondiale, non da ultimo il Cheese Rogue River Blue, che nel 2019 è stato eletto come miglior formaggio al mondo ai World Cheese Awards. Sono certo che i formaggi americani potrebbero trovare spazio nel food service europeo.

Come i produttori americani potrebbero dunque beneficiare dei dazi? Quali potrebbero invece essere gli effetti negativi?

Sono certo che non otterremmo che benefici. Non vogliamo che i dazi siano permanenti, ma che siano un mezzo per rinegoziare i rapporti commerciali con l’Europa, affinché i nostri prodotti trovino spazio nel vostro mercato. Non credo invece che possano esserci conseguenze negative perché, come settore lattiero caseario, non esportiamo quasi nulla in Europa, quindi… non abbiamo niente da perdere!

Quale impatto hanno avuto, invece, i dazi nel 2019?

Hanno impattato sugli importatori e su alcune aziende europee, ma, ad esempio, non ho notato un calo significativo nell’export di formaggi italiani. Tutto, comunque, dipende dal valore del dazio: un’imposta aggiuntiva del 10% non credo possa avere conseguenze, se non per l’importatore, che vedrà ridotti i suoi margini. Un dazio aggiuntivo del 30% o del 40%, invece, avrebbe un significato differente.

Il presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano, Nicola Bertinelli, ha proposto, negli scorsi mesi, un accordo tra Europa e Stati Uniti per il reciproco riconoscimento dei prodotti lattiero caseari. Che cosa ne pensa?

Bertinelli è un bravo politico. Ma, per quanto mi riguarda, ha dimostrato di parlare molto, senza passare ai fatti. Ho cercato di raggiungere un’intesa con lui e con il Consorzio del Parmigiano Reggiano: ho solo ottenuto chiacchiere. Inoltre, sarebbe ottimo se l’accordo da lui proposto significasse aprire il mercato europeo ai formaggi americani. Al contrario, se significasse semplicemente che dobbiamo smettere di difendere il nostro diritto di utilizzare nomi generici come ‘parmesan’, allora può scordarsi un accordo. Il punto è che non siamo contrari alle Indicazioni d’origine, vogliamo semplicemente coesistere: l’Europa ha già dimostrato di poterlo fare, anche se molti interessi ruotano attorno alle IG …

Che cosa intende dire?

Le IG in Europa sono spesso legate a questioni di convenienza. Prenda il caso della Feta. Le IG dovrebbero riconoscere specificità derivanti da un certo luogo, clima e, di conseguenza, da particolari materie prime. La Feta, però, può essere prodotta su quasi tutto il territorio greco, mentre in Bulgaria, letteralmente a un passo dal confine, ne è vietata la produzione. Quindi, che cosa accade tutto d’un tratto al terreno o al clima? C’è poi anche il caso del Gruyère. C’è una sola città così chiamata nel mondo e si trova in Svizzera: il Gruyère Aop viene prodotto lì e in poche altre zone del Paese. Anche i francesi, però, volevano produrre questa tipologia di formaggio, sostenendo di averlo fatto per lungo tempo. La Commissione europea ha dunque riconosciuto il marchio Igp al Gruyère de France. Qual è dunque il punto della IG in questo caso? Tutto quanto concerne le indicazioni di origine mi sembra molto fallace, poco serio.

L’intervista integrale sarà pubblicata sul numero di luglio/agosto di Formaggi&Consumi.

 

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