Desenzano del Garda (Bs) – “Sta girando una tesi bizzarra che noi prodotti ‘premium’ (Parmigiano Reggiano e Grana Padano) non avremmo impatti troppo negativi dai dazi così come decisi da Trump. Questo, almeno per il Grana Padano, non è vero perché una fetta importante è venduta nel food service che risente molto di più rispetto alla famiglia medio alta spendente americana di rincari significativi dei prezzi dei prodotti inseriti nel loro paniere. Inoltre, essendo prodotto molto stagionato, l’invenduto pesa sui magazzini penalizzando quindi il 100% del prodotto immagazzinato”. Così Stefano Berni, direttore del Consorzio Grana Padano risponde, in un comunicato stampa, a chi, in questi giorni, ha minimizzato l’impatto dei dazi sulla Dop.
Berni spiega infatti che, nel 2014, con l’embargo russo che aveva seguito l’invasione della Crimea, il danno sul Grana Padano venne quantificato a 100 milioni di euro, di cui 15 milioni per l’invenduto e la restante parte per l’abbassamento delle quotazioni di mercato di tutto il formaggio.
Di conseguenza, “potremmo perdere a causa di questi dazi 35-40mila forme in Usa con un danno diretto per l’invenduto di circa 25 milioni di euro ma con un più rilevante danno indotto sul magazzino in cui attualmente vi sono circa 6 milioni di forme per un valore medio di circa 2,3 miliardi di euro”, spiega Berni. “Per cui sarebbe sufficiente che il formaggio perdesse appena un 3% del suo valore (solo circa 30 cent al kg) per arrivare a un danno indotto di 75 milioni di euro. Si stima quindi che questi dazi aggiuntivi del 20% potranno gravare sul sistema Grana Padano per circa 100 milioni di euro nei suoi primi 12 mesi di applicazione. Ovviamente se non si trattasse di prodotto a lunga stagionatura il danno indotto sarebbe assai più lieve”.
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