Fubini (Corriere della Sera), ma cosa scrivi?

2023-01-17T12:56:46+02:0017 Gennaio 2023 - 12:42|Categorie: in evidenza, Retail|Tag: , , |

Milano – Federico Fubini, vicedirettore del Corriere della Sera, ha pubblicato ieri sul sito del quotidiano un articolo dal titolo ‘Pressione sui prezzi, i produttori alimentari hanno chiesto 434 aumenti in due settimane‘. L’incipit fa riferimento a un “fatto economico che avrebbe dovuto rimanere riservato”, ovvero: “I produttori di alimentari e altri prodotti da supermarket nei primi dieci giorni dell’anno hanno già chiesto 434 aumenti di listino – secondo fonti dell’industria – mentre ne avevano chiesti un po’ più di 1.200 durante tutto il 2022″. Nelle prime cinque righe del pezzo ci sono già due passaggi che lasciano sbigottiti. Se le richieste complessive sono 434, perchè nel titolo si fa riferimento ai ‘produttori alimentari’? Non si sa. E poi quali sarebbero queste fantomatiche ‘fonti dell’industria‘? Non si sa neppure quello.

Prima di entrare nel merito, Fubini cita in ordine sparso l’economista Olivier Blanchard, la perdita del potere d’acquisto, le file davanti alle associazioni come ‘Pane Quotidiano’, che distribuiscono cibo per persone in difficoltà. Poi sempre “secondo fonti dell’industria” (l’espressione è ripetuta ben tre volte nel pezzo) “i produttori alimentari hanno presentato ai distributori le loro 434 richieste”, e ancora non si capisce se il riferimento è ai prodotti food o non food. Vengono snocciolati di seguito dati sulle richieste di aumento: in media 16,66%, con punte di +47,24% (olio), +28,64% (prodotti ittici), +25,42% (riso) e altri ancora, tra cui pet food. Una precisione al secondo decimale difficilmente attribuibile a fonti industriali (come fanno i pastifici a sapere le richieste del settore home care, tanto per fare un esempio): è più ragionevole supporre un’imbeccata della distribuzione.

Ma proseguiamo: Fubini scrive del differente trattamento riservato alle multinazionali, che “possono minacciare di non rifornire le catene di supermarket che dovessero resistere agli aumenti”, e delle “grandi catene, quelle da oltre 10 miliardi di fatturato, che possono minacciare di sostituire negli scaffali i prodotti di chi non modera le proprie richieste di aumento”. Come dire: le altre (cioè quasi tutte) devono sottostare alle richieste dei fornitori (grandi o piccoli che siano). E i clienti finali? “Noi consumatori”, ci informa Fubini, folgorato sulla via del risparmio, “possiamo passare in massa ai discount”.

Il passaggio che lascia più esterrefatti si trova però nel paragrafo intitolato “A guadagnarci finora sono stati i produttori“, dove il vicedirettore del Corsera scrive: “Prima delle tasse, la quota di profitto delle aziende italiane l’anno scorso era un po’ scesa: appena sopra il 40% nel 2021, e appena sotto nel 2022. Ma mentre l’inflazione accelerava in primavera e poi in estate e in autunno, la quota di profitto delle imprese è leggermente salita”. Eh sì, avete letto bene: circa il 40%. L’autore cita non meglio identificati dati Istat, ma forse sarebbe bastata una chiacchierata con una delle tante Pmi che nel 2022 hanno stretto i denti per rendersi conto che è un dato totalmente fuori dalla realtà.

 

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