Di Giulio Rubinelli
Oggi trattiamo l’inspiegabile. Il caffè si chiama Borbone. Nasce sotto il Vesuvio e sul sito si propone di portare il gusto del vero caffè partenopeo nel mondo. Non solo. Prosegue con un’esegesi sul Regno di Napoli (sebbene il brand nasca nel 1998), concludendo con una lode dell’iconico Gambrinus di via Chiaia (che però è in partnership con Segafredo). Il Dna di Borbone sembrerebbe dunque più che chiaro e la sua comunicazione tracciata. E invece…
Obiettivi della Comunicazione
E invece Caffè Borbone ha sentito l’urgenza di complicarsi la vita, nella maniera più bizzarra possibile (clicca qui per vedere lo spot). Ovvero posizionandosi come il caffè dello sport invernale. Nell’ultimo spot addirittura scegliendo di affidare la propria immagine al duo Antonioli-Tomba. Robert Antonioli, scialpinista campione del mondo originario della provincia di Sondrio; Alberto Tomba, vecchia gloria dello sport italiano, difficilmente noto a chiunque sia nato dopo la caduta del Muro di Berlino. Alberto Tomba, non si sa riesumato per quale ragione, che aveva realizzato il suo ultimo spot (tragicamente sessista) per Barilla nel lontano 1995.
Insomma, manca ancora un anno alle Olimpiadi invernali Milano-Cortina e l’unico obiettivo che possiamo intuire è una preparazione anticipata del terreno comunicativo. Ma Borbone tra gli sponsor della manifestazione, ad oggi, non ci risulta comparire.
Coerenza strategica con il brand
Se una strategia c’è, lo confessiamo, non si vede. Nulla del Dna di marca lascia intuire una qualche connessione con lo sport invernale. Non che Lavazza offrisse un prodotto credibile da abbinare al tennis, come di certo non lo faceva Marlboro per la Formula 1. Però la scelta di Borbone, a fronte di una varietà infinita di possibilità, risulta davvero strampalata, tanto per l’ambito selezionato, quanto per i testimonial.
A Napoli e dintorni si possono trovare tra i 30 e i 40 marchi attivi tra grandi nomi e torrefazioni artigianali, senza contare le piccole botteghe che fanno tostatura propria. Ognuno trova la sua piccola forma, la sua personale nicchia per raccontare qualcosa di sé; perché a Napoli, di spunti narrativi, non ne mancano mai. Sia mai che qualcuno da quelle parti scambi il Vesuvio per il Pasubio.
Rilevanza della promessa
“Per gli eroi di tutti i giorni”, recita lo slogan finale. Una formula ormai trita del marketing più classico. Dalla Lego all’Ikea. Epperò, oltre ad averla già trovata in decine di concept, in questo caso specifico funziona?
Prendiamo un esempio da una categoria distante: spot Eurobet del 2016 (clicca qui).
Con tono epico, il film si rivolge agli scommettitori irriducibili, presentandoli nei loro contesti – dal popolare all’aziendale – mostrando come il pubblico del marchio occupi uno spettro ampio che attraversa tutta la società. L’eroicità dello scommettitore, in questo caso, passa proprio attraverso la sua irreducibilità, la sua tenacia che viaggia sopra ogni contesto.
Per Borbone, invece, l’eroe di tutti i giorni è incarnato da due sportivi d’élite. Chi infatti, appena sveglio, non vince una coppa del mondo di Gigante? O un oro europeo di vertical? Ogni singolo frame di questa pubblicità rema contro lo slogan finale, contro il posizionamento di marca, contro la napoletanità che è presente in ben due di tre elementi grafici del logo stesso. Possibile che nessuno, all’interno di una catena di decisori, abbia notato una qualsivoglia discrasia strategica?
Coerenza del tono di voce vs target
Il target, lo abbiamo detto, è incerto. “Gli eroi di tutti i giorni” son tutti e nessuno. Il prodotto ha carattere popolare e intende chiaramente rivolgersi a una fetta di pubblico il più ampia possibile, al netto del fatto che Tomba lo ricorda qualcuno, mentre – con tutto l’affetto – Robert Antonioli? Bah.
Al netto di questo, per quanto riguarda il tono di voce si è optato per l’ironico. Un ironico insipido, quasi adolescenziale, sullo scialpinista che sale e il caffè che scende. Laddove – si perdonerà il luogo comune – ma tutto si poteva puntare proprio sull’ironia, trattandosi di un brand napoletano. Invece, manco quella. Tu quoque!
La battuta i napoletani la delegano quindi a un bolognese e a un valtellinese. A cosa stavano pensando in casa Borbone? Non che bisognasse chiamare il solito Siani, però allora perché non direttamente Gustavo Thoeni?
Qualità della realizzazione
Un bel guaio davvero. Anche perché ci saremmo potuti lasciare ogni critica alle spalle, se soltanto la realizzazione fosse stata buona. O almeno passabile. Ma Caffé Borbone ha scelto di incorrere nel primo e più tragico errore di ogni pubblicitario: far parlare uno sportivo. Lo sportivo, per definizione, non deve parlare. Perché, molto semplicemente, parlare non è il suo mestiere. Sinner, uno dei più grandi sportivi del nostro tempo, un fenomeno mondiale, non sa mettere in fila un periodo in modo credibile. Perché dovrebbe riuscirci Tomba? Ma soprattutto (ed è da diventarci matti): come vi è venuto in mente Tomba? Neanche più Tomba si ricordava di Tomba. E allora, non paghi, ecco un grado di complicazione ulteriore: non solo facciamo parlare Tomba, ma lo facciamo essere spiritoso! Il risultato è palese, una grandissima alzata di spalle.
Un misto di incredulità e una certa malinconia per uno spot che va giù che è una meraviglia. Non però giù come un buon caffè. Giù a raschiare il fondo di un panorama pubblicitario senza più né capo né coda, privo di visione strategica, come di creatività. Che non sa valorizzare le proprie radici e che al contempo non sa aprirsi al mondo. Rinchiuso in questa gabbietta buia e angusta, un non-luogo che vive della sola pacca sulla spalla da bar, privato del passato e cieco al futuro.