Di Giulio Rubinelli
Lavazza è un nome. Barilla, pure. E così anche Ferrero, illy, Martini, tra molti altri. “Che cos’è un nome”, domandava (o supplicava) Giulietta. È una firma, un sigillo di garanzia: nel caso di Shakespeare quello di un amore tormentato, nel caso dei marchi, invece, la promessa di qualità di un prodotto.
Un nome, in marketing, sigilla un patto con il consumatore, che vi si affida nella propria scelta tra una varietà di offerta. Così quei marchi che hanno scelto di portare il nome di una persona reale (generalmente il fondatore) nel proprio brand, da un lato si caricano di una responsabilità personale, dall’altra offrono al consumatore un rapporto ben più diretto con altri esseri umani, che riconoscono un simile dietro al logo.
Eppure, come abbiamo visto in principio, si tratta quasi esclusivamente del cognome dei fondatori, a venire adottato come nome di marca, e mai del nome.
La Pasta Armando, da questo punto di vista, rappresenta un unicum nel panorama nazionale, che il brand ha saputo sfruttare con sapienza e con garbo (clicca qui per vedere lo spot).
Obiettivi della Comunicazione
L’obiettivo cardine è chiaramente quello di lavorare sulla percezione del consumatore con un senso di prossimità: “La pasta a cui dai del tu,” se vogliamo suggerire un claim alla De Matteis Agroalimentare. Al Dottor Barilla tornerebbe scomodo dare del tu, come chiamare Giovanni Ferrero per nome; Armando no, è lì, come noi, esiste, sta dietro il bancone della bottega sotto casa, i gomiti appoggiati sul bancone. Noi conosciamo lui, lui conosce noi: sulla sua pasta non mette un marchio, bensì la faccia. Quella di chi? Quella di Alessandro Borghese, tra tutte le chef-celebrity quello più umano e scanzonato. E così, dal 2017 (anno di inizio della collaborazione), l’obiettivo della comunicazione di Pasta Armando è chiaro: rendere Armando un tuo amico sullo scaffale.
Coerenza strategica con il brand
“C’è solo una pasta che puoi chiamare per nome”, squilla Borghese sin dal primo frame. E questo già basterebbe a fugare ogni dubbio sul posizionamento strategico. La voce di Borghese però si corregge subito e prosegue: “Che però non è solo di Armando, ma anche di Mario, di Elisa (…) Buona per Giulio, per Lucia e per tutta l’Italia”. Appare dunque chiaro come l’intento sia quello di creare un legame umano con il consumatore, dal campo di grano alla tavola, facendo leva sulla filiera 100% italiana, dal produttore alla nostra tavola, con un passaggio di mano semplice e diretto.
La coerenza, da questo punto di vista, con il posizionamento di marca è rispettato. Una coerenza che si riscontra, tra le altre cose, anche sul packaging, dotato di tratti di fondo ad acquerello, come disegnato a mano da un bambino, con un effetto naïf e umanissimo.
Rilevanza della promessa
Nel mondo post-global, la promessa di prossimità rappresenta l’ultimo baluardo a un consumo peer-to-peer. Ristrutturare un consumo di prossimità, che operi un cuscinetto tra la produzione di massa e quella iper-locale, rappresenta la grande sfida per un brand come Pasta Armando.
La promessa, da questo punto di vista, è vitale per il brand, che stringe sulla base di poche parole d’ordine il proprio patto con il consumatore. La scelta di affidarsi a un super-ambassador, piuttosto che al volto di un proprietario (come è tradizionalmente il caso di Giovanni Rana, tra gli altri), risulta peraltro arguta sul lungo periodo, potendolo eventualmente sostituire senza rischiare danni di immagine. Proprio nel caso di Rana, si vede come nei decenni si sia molto faticato a trovare un volto credibile al brand oltre a quello del patron, rispettando la promessa di marca.
Coerenza del tono di voce vs target
Chiaramente il pubblico non può che essere generalista: “Buona per tutta l’Italia” non è soltanto un copy apprezzabile, ma un posizionamento preciso.
Il target al quale Pasta Armando intende rivolgersi con lo spot è facilmente riconoscibile. I personaggi che compaiono sono in totale (Borghese escluso) otto: quattro Millennials, un agricoltore, una dipendente di Pasta Armando, due bambini. Appare quindi chiaro che i destinatari siano principalmente le famiglie: un segmento con potere d’acquisto, che intende trattarsi bene e con prodotti di qualità nel tempo concesso dagli impegni quotidiani (“Best-For-Me”).
I bambini tuttavia, in questo scenario, sono furbescamente isolati in un’inquadratura isolata, lasciando spazio alle coppie e agli shot individuali. Questo per ovviare all’ “effetto Barilla” da famiglia tradizionale, sorpassata e démodé.
Qualità della realizzazione
Lo spot non ha pretese, vuole lanciare un messaggio pulito e semplice, senza fronzoli: qualsiasi orpello sarebbe stato di troppo. Ci soffermiamo soltanto su un dettaglio. Si tratta delle mani di donna che, a metà dello spot, accarezzano una spiga di grano, con l’over che recita “Grano di filiera 100% italiano”. Sebbene smaltate e curate, possiamo osservare come non si tratti di mani canonicamente belle, ma un filo tozze, dalle unghie corte. In pubblicità siamo abituati a una cura maniacale di questo genere di dettagli, a partire ad esempio dall’impiego di manisti professionisti che prestano le proprie dita anche a una singola inquadratura. La scelta invece da parte di Pasta Armando di utilizzare delle mani “vere”, autentiche, rappresenta un particolare per nulla trascurabile. Anzi: le mani che toccano il grano di Armando devono essere le nostre mani, le mani degli italiani, mani belle poiché vere, che ci ricordino quelle che ogni giorno incontriamo al supermercato, piuttosto che ai margini di una passerella di alta moda. Le mani di una filiera genuina, le mani oneste di chi lavora e che ama ciò che produce e che consuma.