A tutto spot / Non è un Paese per Mellin. Non uno spot, ma un manifesto dello stato demografico italiano

2025-11-03T09:03:35+01:003 Novembre 2025 - 08:56|Categorie: A tutto Spot, in evidenza|Tag: , , , |

Di Giulio Rubinelli

Mellin (guarda qui) riavvolge le lancette e ci catapulta in un universo distante, che speravamo sepolto dalla polvere del tempo. La controllata di Danone propone una comunicazione anni ’80, ma in un’Italia che non c’è più: dalla strategia all’esecuzione tutto in apparenza fila liscio, ma nulla torna. Una confusione rispecchiata anche dalla presenza digitale del brand, che sul sito si propone in un modo ancora diverso, mentre sui social brilla per assenza.

Obiettivi della comunicazione

Lo spot promuove il ‘Latte di Proseguimento 2’. Lo chiama così in principio, poi verso la fine lo chiama ‘Mellin 2’, dicitura che non compare da nessuna parte, se non nel voice over.

La storyline è semplice: un neonato (maschio) ci accompagna attraverso la sua giornata, scandita da momenti in cui è ammirato da schiere di donne adoranti e da studenti infastiditi (aggiunta incomprensibile).

Gli obiettivi della comunicazione, oltre la promozione di prodotto, non solo non sono chiari, ma non esistono. L’efficacia di 30 secondi di film sarebbe condensabile in un’affissione statica, che a sua volta scomparirebbe nel rumore del mercato, in un Paese ormai per soli anziani.

 

Coerenza strategica con il brand

Il payoff di campagna è ‘Crescere insieme, un passo alla volta’, ma il neonato non accenna nemmeno un passo nello spot: una pigrizia creativa che fa saltare il banco al copy. Uno slogan anche giusto se vogliamo – non brillante, ecco – ma che non trova riscontro in pellicola, è uno slogan che rimane incollato con lo sputo. Delle due l’una: o è sbagliato il copy, oppure il video. In ogni caso, i due non si parlano.

Dal sito scopriamo il posizionamento di marca, ‘Insieme nutriamo il futuro’: molto B2B, ma forse più azzeccato del payoff stesso coi passi.

Chi è, dunque, Mellin? Dove si posiziona? Al fianco dei bambini? Dei genitori (delle sole madri verrebbe da dire)? Li tiene per mano, si mette al loro servizio? Li guida? Se dovessimo posizionare il marchio all’interno di uno scenario di crescita (forse l’espediente narrativo con il potenziale più forte, dopo il viaggio), Mellin non ha idea di dove mettersi. Né perchè. Oltre alla vendita del latte che, ci dice il sito, è il più venduto d’Italia. Di certo non grazie alla comunicazione quanto, più probabilmente, grazie a una oculata strategia di scaffale.

 

Rilevanza della promessa

La promessa è ‘Crescere insieme’: indica con ogni probabilità la varietà di prodotti a scala a seconda dell’età. E sì, se il ‘Mellin 2’ – o come si chiama – è il più venduto, allora abbiamo un proof-of-concept: i bambini italiani crescono effettivamente con Mellin.

In un qualche modo, la povertà della comunicazione del prodotto numero uno su scala nazionale per la prima infanzia, rispecchia la desolazione dello scenario demografico italiano: si investe poco e ci si accontenta di niente.

In un mercato in cui i competitor diretti sono il marchio storico Plasmon e il colosso Nestlè, limitarsi a una strategia mono-canale senza il back-up dei social, indica una sicurezza dei propri mezzi forse impareggiata anche su altre categorie merceologiche.

Bizzarro come un pubblicitario non rabbrividisca di fronte alla vastità di occasioni sprecate che si distinguono in soli 30 secondi di montato.

 

Coerenza del tono di voce vs target

Dicevamo che, in un un’Italia che non fa più figli (rispetto al 2008, il numero di nascite è calato di circa 35-36% – fonte: Openpolis), Mellin sceglie deliberatamente di escludere metà del target e di rivolgersi soltanto alla sua componente femminile. Se si considera che il tasso di utilizzo del congedo obbligatorio di paternità da parte dei padri italiani è passato dal 19,2 % nel 2013 al 64,5 % nel 2023 (fonte: Inps), forse non sarebbe stato del tutto sciocco coinvolgerli nella comunicazione di prodotto.

Mellin lo fa sul sito, dove sul primo banner capeggia il primo piano di un padre col suo neonato, ma poi il padre scompare da tutti gli altri canali, per lasciare spazio a una visione medievale, se non dannosa, della genitorialità.

 

Qualità della realizzazione

‘Senti chi parla’ è un film del 1989 che tutti ricordiamo: la trovata di far parlare un neonato con la voce di Paolo Villaggio ha segnato una generazione. C’era la Cortina di Ferro nel 1989, una copia di Topolino costava 500 Lire, Edoardo Bennato cantava ‘Viva la mamma’. Come si suol dire: eravamo felici e non lo sapevamo. Ci faceva ridere ‘Senti chi parla’, perchè giocava sul contrasto, sul paradosso.

Mellin no. Mellin fa parlare un neonato con la voce di un cappone, senza neanche lo sforzo di dare coerenza alle battute: il bambino all’inizio si esprime come un ragazzino sui sette anni, poi invece comincia a enumerare le specificità chimico biologiche del ‘Latte di Proseguimento 2’ con la perizia di un nutrizionista di vaglia. Per poi concludere con un ridanciano ‘Adoro la mia vita!’ che non si può che ricondurre alla beatitudine del maschietto circondato da signore e signorine riverenti.

Se davvero è necessario viaggiare nel tempo, allora per l’amor di dio ridateci gli spot demenziali (e divertentissimi) con Aldo Giovanni e Giacomo della Yomo. Non comunicavano niente manco loro, ma almeno intrattenevano. E rimanevano impressi nella memoria.

 

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