La sicurezza alimentare, il peso dell’inflazione, l’impatto dei dazi. E l’importanza di tracciabilità e reciprocità con il Sud America. Focus sul comparto avicolo con Antonio Forlini, presidente di Unaitalia.
Di Andrea Dusio
A margine dell’assemblea nazionale di Unaitalia, il 29 ottobre a Roma, abbiamo intervistato Antonio Forlini, che presiede l’Associazione del settore avicolo italiano.
Presidente, il bilancio che avete illustrato è ampiamente positivo. Quali sono i punti di forza del settore?
Sì, in effetti sia il bilancio del 2024, ma anche la situazione dei primi sei mesi del 2025 denotano un sostanziale incremento dei consumi, una crescita della produzione e una tenuta nel corso del primo semestre di quest’anno. Secondo Ismea, siamo di fronte al livello massimo di consumi pro capite registrati negli ultimi dieci anni, con un dato pari a 22,05 chili. Parliamo di un settore che per fortuna è in salute ed è caratterizzato dall’essere totalmente made in Italy. È l’unico settore zootecnico autosufficiente, produce il 105% dei consumi italiani.
I consumatori sono molti attenti al tema della sicurezza nella vostra industria. Cosa avete fatto per migliorare in questi ultimi anni?
Nel 2005 è nato il disciplinare di etichettatura volontaria, da cui si evince chiaramente come le nostre imprese siano state in grado di anticipare alcune tendenze regolatorie sia a livello nazionale che a livello europeo, ad esempio sulle tematiche del benessere animale. Oltre il 30% della produzione italiana è caratterizzato da condizioni di miglior benessere animale, il 60% è caratterizzato da arricchimenti ambientali e da luce naturale. E poi cito come best practice la riduzione dell’uso degli antibiotici, che si è ridotta del 97% per il pollo e del 93% nel caso del tacchino. Quindi oggi il 50% circa della produzione italiana è antibiotic free.
L’inflazione ha avuto un peso sul vostro comparto?
Certamente sì. È una problematica non solo italiana ma europea, ed ha caratterizzato un incremento dei costi del 30% circa negli ultimi cinque anni. Si tratta di una criticità importante per i consumatori: la carne avicola è democratica, a basso costo, e tra l’altro non ha barriere religiose. L’economicità è dunque una caratteristica che va mantenuta.
Quali sono i mercati esteri di riferimento?
La Germania in Europa e l’Inghilterra tra i mercati extra Ue. Poi ci sono piccole esportazioni anche in Nord Africa. E l’episodio della richiesta da parte delle autorità americane durante la crisi delle uova. In realtà il comparto delle uova non produce più di quello che consumiamo, quindi l’esportazione è marginale.
Sul settore il problema dei dazi è meno impattante?
Non ha un impatto diretto, però è chiaro che le problematiche dei dazi ricadono anche sulle materie prime, come la soia ad esempio, che noi importiamo, possono creare comunque delle perturbazioni a livello internazionale e generare degli incrementi di costo difficilmente assorbibili nel breve periodo.
Che ricadute hanno sulla vostra filiera gli accordi relativi al Mercosur?
Purtroppo noi siamo penalizzati dal Mercosur: l’accordo prevede un incremento di importazioni dal Sudamerica – essenzialmente dal Brasile – di 180mila tonnellate di carne di pollo e tacchino. È presumibile che siano di taglio pregiato, come petto e fesa di tacchino, con un valore unitario elevato. E quindi chiediamo alla politica di tutelarci. Vogliamo essere certi che i consumatori europei, e italiani in particolare, sappiano cosa mangiano. E mi riferisco in particolare all’Horeca, perché sui banchi dei supermercati noi sappiamo vita, morte e miracoli di ciò che acquistiamo. Ma nei ristoranti la tracciabilità è meno garantita. Una delle nostre richieste è proprio quella di garantire reciprocità nelle leggi e nelle normative che tutelino la sicurezza alimentare, ma anche il benessere animale rispetto alle importazioni e tracciabilità.
 
			
					 
													 
				 
				 
				 
				 
				