Imprenditori coraggiosi

2024-04-09T17:01:55+02:009 Aprile 2024 - 17:01|Categorie: Editoriali del direttore|Tag: , , |

Il 15 settembre 1960, Luigi Einaudi, grande economista e presidente della Repubblica dal 1948 al 1955, lesse un intervento per celebrare l’anniversario dell’impresa dei Fratelli Guerrino di Dogliani (Cuneo). Ecco un passaggio che risulta essere particolarmente attuale: “Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. È la vocazione naturale che li spinge; non soltanto la sete di guadagno. Il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno. Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie ed investono tutti i loro capitali per ritirare spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con altri impieghi”.

Mi è venuto in mente in quanto aleggia da tempo una sorta di cultura ‘Italian woke’ che vede nell’impresa il nemico da combattere. È il riverbero strisciante degli slogan che animavano i cortei studenteschi del ’68. Con parole d’ordine del tipo: “È ora, è ora: potere a chi lavora”; “Agnelli, Pirelli: ladri gemelli”, “Fabbrica scuola: la lotta è una sola”; “No ai licenziamenti, no al caro vita. Con questo governo facciamola finita”; “Operai a scuola, studenti in officina faremo in Italia come hanno fatto in Cina”. In quest’ultimo caso sappiamo poi com’è andata a finire…

Oggi gli slogan urlati non ci sono più, se non nelle manifestazioni dei centri giovanili. Ma è rimasta serpeggiante una cultura che vede nel padrone il nemico non tanto da abbattere ma sicuramente da boicottare. È la logica dell’imprenditore brutto, sporco e cattivo che non accenna a morire. C’è poi, in parallelo, un’altra narrativa emergente. Quella della decrescita felice, altro slogan più soft ma ugualmente demenziale. Che fa il paio con quanti vorrebbero l’eliminazione delle fabbriche inquinanti e dei motori termici. Dimenticando che talune accelerazioni troppo marcate possono portare a sconvolgimenti sociali dalle conseguenze inimmaginabili.

Parliamoci chiaro: non sono certo uno di quelli che vorrebbe il ritorno del “sciur padrun da li beli braghi bianchi” della famosa canzone. Ma nemmeno la sua criminalizzazione. Nel corso di questi anni ho girato e visitato tante aziende nel settore alimentare e non. Ne ho trovate poche con imprenditori stronzi che pagavano poco e male i dipendenti. Immobili rispetto al loro business. Al contrario, ho visto realtà che sono cresciute nel tempo producendo ricchezza per dipendenti e fornitori. Ho ancora in mente Paolo Gherardi del Prosciuttificio Montevecchio che, molti anni fa, mi accompagnò a vedere un capannone fatiscente. “Qui sorgerà la mia nuova fabbrica”, mi disse. Aveva gli occhi lucidi. Oppure Giulio Gherri di Terre Ducali. Quando ci siamo conosciuti, quindici anni fa, avevano, lui e i suoi fratelli, un prosciuttificio a Langhirano. Oggi il gruppo Parma Food fattura 50 milioni di euro ed è impegnato in diversi ambiti fra cui, primo in Italia, gli impianti Hpp. E come dimenticare le storie di rinascita dopo disastri naturali e non? Come quella dei fratelli Palmieri, di Comal e del salumificio Pfitscher, con le fabbriche distrutte da terremoti e incendi, che hanno saputo rialzare la testa e ritornare competitivi sul mercato.

Oppure ancora Francesco Pizzagalli di Fumagalli salumi. Che mi parlava di benessere animale quando ancora non si sapeva nemmeno cosa fosse. Oggi la loro filiera è fra le più apprezzate sul mercato a livello internazionale. Vogliamo parlare dei fratelli Invernizzi (Inalpi) e delle loro torri di sprayatura per la polverizzazione del latte? Anni fa li prendevano per matti. Oggi, fra gli altri, hanno un laboratorio ricerca e sviluppo fra i più avanzati in Italia. Sempre nel segmento formaggi, la famiglia Bonino che in quel di Biella ha saputo coniugare artigianato e industria.

E come non citare la famiglia Leonardi che con la sua Igor ha portato il Gorgonzola in tutto il mondo? Al Sud poi, la fabbrica modello di Delizia. Ovvero come elevare a potenza un prodotto, la mozzarella, in un contesto con tante difficoltà. Senza dimenticare i Brazzale con il loro Gran Moravia e il fantastico burro. Ricordo ancora molto bene la visita alla Icam, in territorio lecchese, che produce cioccolato. Una fabbrica avveniristica e futuribile.

O ancora il nuovo sito produttivo de La sassellese, in quel di Sassello, sperduto borgo in provincia di Savona. E, per finire in bellezza, la visita all’acetificio Mengazzoli, accompagnato da due ciceroni d’eccezione, Cesare ed Elda. Fra botti in legno pregiato e profumo di mosto.

Questi alcuni siti produttivi che ho visitato. Sicuramente mi sono dimenticato di qualcuno. Me ne scuso. La memoria e la convalescenza dopo un intervento mi limitano. Rimane in me il ricordo vivido di imprenditori coraggiosi. Che hanno saputo far fiorire la pianta della concorrenza. Come diceva sempre Einaudi: “Una pianta che non nasce da sé, e non cresce da sola; non è un albero secolare che la tempesta furiosa non riesce a scuotere; è un arboscello delicato, il quale deve essere difeso con affetto contro le malattie dell’egoismo e degli interessi particolari, sostenuto attentamente contro i pericoli che da ogni parte lo minacciano sotto il firmamento economico”.

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