“Siamo nel pieno di una guerra commerciale globale”

2025-04-11T15:30:35+02:0011 Aprile 2025 - 12:35|Categorie: Aperture del venerdì, in evidenza, Mercato|Tag: , , , |

I possibili scenari che si apriranno con i dazi americani, tra 90 giorni. Il sostegno ai settori  dell’agroalimentare più esposti. E l’importanza di un’Europa unita e coesa. Intervista esclusiva a Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura.

Di Andrea Dusio

Incontriamo Massimiliano Giansanti il 9 aprile, all’indomani del vertice avvenuto a Palazzo Chigi tra l’esecutivo e le associazioni che rappresentano l’economia reale, per affrontare l’emergenza straordinaria dei dazi varati dalla presidenza Trump. Nel frattempo i dazi Usa sono stati sospesi per 90 giorni, ad eccezione di quelli applicati sui prodotti cinesi. Ma lo scenario resta quanto mai incerto.

Martedì c’è stata un’audizione con i membri del governo, in cui avete presentato la vostra posizione sulla questione dei dazi. Qual è la sua visione?

Occorre forte consapevolezza e responsabilità nell’affrontare questo momento di emergenza straordinaria. Se ancora non si è capito, siamo nel pieno di una guerra commerciale globale, che si va a sovrapporre ai conflitti ancora in atto tra Russia e Ucraina e nel Medioriente, e che, dall’altra parte, coinvolge le grandi potenze. L’Europa deve capire se vuole essere a sua volta una grande potenza, o, al contrario, la somma di 27 interessi diversi. L’Europa ha una sua centralità nel momento in cui ragiona come Unione europea nella sua interezza. Se guardiamo gli scambi commerciali tra Stati Uniti e Unione europea siamo il loro principale mercato di sbocco e il loro primo fornitore. Se, al contrario, andiamo a disarticolare i singoli Stati membri, non siamo così forti come quando siamo uniti. Siamo un mercato che conta 400 milioni di consumatori. Immagino e spero in tal senso che dall’Unione europea arrivi una risposta chiara e netta, in modo che il presidente Trump abbia consapevolezza di trovarsi di fronte a una coalizione compatta.

Quale risposta auspicate dal nostro esecutivo e dalla Ue?

In primis una visione comune europea. Con una forte leadership italiana, perché la presidente Meloni ha un’autorevolezza riconosciuta da Trump. Se iniziamo a dividerci, con proposte formulate da singoli Stati membri, finiremo per distruggere il mercato domestico. Se si va a restringere il mercato americano, tutti guarderanno a quello europeo. Che mai come in questo momento va protetto, anche da tutti coloro che, a partire dai cinesi, troveranno maggiori difficoltà nell’export verso gli Usa.

Cosa serve in questo momento?

Serve un ulteriore temporary framework, per poter intervenire al di fuori del patto di stabilità. In secondo luogo occorre rivisitare Next Generation EU (il pacchetto di misure economiche europee varate dopo la pandemia ndr), perché quello attuale è ‘figlio’ del Covid, e infine una semplificazione di tutti quegli strumenti che oggi rischiano di essere persi a causa della burocrazia europea. Penso ai fondi Ocm, che per l’Italia valgono in due anni circa 130 milioni di euro. Oggi con strumenti di flessibilità potremmo rafforzare ancor di più la comunicazione e la promozione dei nostri prodotti sul mercato americano e, dall’altra parte, rimappare su altri Paesi risorse destinate ad aprire nuovi mercati.

Dove si concentrano i rischi maggiori?

A me preoccupa la fascia del largo consumo. Se pensiamo ai prodotti premium e super premium, avremo qualche mitigazione e qualche effetto negativo, ma non dirompente. Se pensiamo alla fascia media dobbiamo guardare allora alla perdita cumulata in questi giorni dalle famiglie americane, che possiamo stimare in quarantamila dollari. Significa che la capacità di spesa di una famiglia è ora molto minore di quella che era sino alla settimana scorsa. In questa dimensione non c’è solo un tema di dazi, ma di rottura di mercato, che colpisce le fasce medie, all’interno delle quali noi abbiamo il grosso dell’esportazione dell’agroindustria del Paese, che va dall’ortofrutta sino al vino, passando per tutti i prodotti trasformati. Dobbiamo proteggere quella fascia. C’è dunque anche il tema di andare a sostenere nel credito le nostre industrie che sono maggiormente esposte. Vanno aiutate con strumenti appropriati, per permettere di avere minor pressione sotto il punto di vista del costo del denaro rispetto a uno stock di magazzino che probabilmente aumenterà e alla necessità di fare investimenti per aprire nuovi mercati.

Avete realizzato un’analisi del potenziale impatto dei dazi?

E’ semplice stimare i danni diretti. Si fa il dazio sull’export: se oggi vale il 20%, sono 1,6 miliardi di euro. Ci sono importatori che hanno iniziato a proporre una redistribuzione del costo del dazio tra distributore, consumatore e aziende. C’è chi lo accetta. Altri non lo potranno accettare. Se parliamo di aziende a bassa marginalità diventa impossibile accollarsi un taglio del 10% del valore. Se penso ad alcuni Paesi – Turchia su tutti – noi oggi abbiamo una sperequazione dei dazi applicati. Altri esempi sono Australia e Cile sui vini, o Perù sull’ortofrutta. La nostra competitività – europea e italiana – in primis sui prodotti turchi, e dunque pasta, nocciole, olio, pollame, uova, è a forte rischio di essere superata da chi riesce a offrire un prezzo più basso.

A metà giugno si vanno a definire i capisaldi del futuro Mff [il bilancio a lungo termine della Ue, ndr]. Cosa va fatto dal vostro punto di vista?

Guardiamo ai temi del Rearm EU, della sicurezza alimentare e della sicurezza energetica. Se continuiamo a ragionare con un sistema di finanziamento del Pil dei 27 Stati membri fermo all’1,04% diventa impossibile garantire questi tre pilastri. Occorre dunque puntare su un’idea di debito comune che possa finanziare il modello europeo, o rischiamo di minare alla base le fondamenta della Ue.

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