Sogno di una notte di mezza estate

2021-08-25T09:54:07+02:0025 Agosto 2021 - 09:54|Categorie: Editoriali del direttore|

Il locale si chiama Nautico ed è in riva al mare. E’ il 31 luglio e siamo nel resort Riva degli Etruschi a San Vincenzo, in quella parte della Toscana che si affaccia sul Tirreno. La zona è molto bella. Vicino c’è lo splendido golfo di Baratti su cui domina la rocca di Populonia. All’interno è possibile trovare piccoli paesi dove ci si immerge nel Medioevo: Campiglia, Suvereto, Massa Marittima. Borghi straordinari, gioielli incomparabili di un Paese che ha la medaglia d’oro della Bellezza, oltre a quella della velocità (grazie Jacobs).

Ma torniamo al Nautico. E’ sera e il tavolo è posizionato in maniera strategica. Il mare leggermente mosso davanti, una sottile brezza che stempera la calura della serata, le tende che svolazzano. Atmosfera idilliaca per una cena al tramonto. Passiamo alla comanda: innanzitutto il vino, un buon bianco fruttato. Opto per un Gewurztraminer Terlan, ottimo direi. Margherita, mia moglie, preferisce il Vermentino ma lascia fare. Acqua? No grazie. “Fa ruggine”, conferma il cameriere. Si passa agli antipasti: polpo fritto per la signora e fiori di zucca in pastella per il socio di minoranza della famiglia. Tralascio i primi. Per secondo scelgo il pescato del giorno, ovvero una pezzogna per due.

L’inizio non è dei più brillanti. Un cameriere ci porta, come entrée, un piattino con un assaggio di cetriolo mischiato con altro. Ringrazio, ma gli dico che non lo digerisco. Mi aspetto una rapida sostituzione con un’alternativa. Ma non arriva nulla: chissenefrega. Il cameriere porta invece i due antipasti: uno con due (due) fiori di zucca ripieni, e una ciotolina con il polpo fritto. Porzioni mini, ma tant’è… Chiedo del pane. Me lo portano e spero nel piattino apposito: nulla. Arriviamo al secondo: la pezzogna è buona, forse non cotta molto bene. Il sogno potrebbe continuare, ma ecco l’amaro risveglio: il conto. Ovvero 139 euro. Con un pescato del giorno a 72 euro, i due antipasti a 18 l’uno, il vino a 25, i coperti a 6. Paghiamo e salutiamo: “A non più rivederci”.

Il giorno dopo è la volta di Massa Marittima, splendida cittadina medievale. Dopo un giro fra le mura, la rigorosa visita alla splendida cattedrale di San Cerbone e alla torre del Candeliere, si fa ora di pranzo. Non ho la minima voglia di mangiare in città. Chiedo a un simpatico edicolante l’indirizzo di un ristorante fuori le mura. “Vada da Sbrana in località Ghirlanda”, mi consiglia. Il nome fa un po’ paura ma mi fido. Con la macchina scendo verso Siena e sulla sinistra trovo il locale. Come definirlo? E’ un alimentari, ma anche bar e trattoria. Ci accoglie Fabio e ci porta nella saletta climatizzata. Pochi tavoli, tovaglia di carta come nelle migliori tradizioni, molto pulito. Io e mia moglie siamo gli unici avventori. Fabio ci porta il menu. E’ un foglio di carta scritto col pennarello in una busta di plastica. Ma è la sostanza quella che conta. Tordelli e pici con un condimento a scelta: ragù, sugo di cinghiale, pomodoro, fiori di zucca. Opto per i tordelli al ragù mentre mia moglie va sui pici con sugo di cinghiale. Fra i secondi ci sono le lumache, il brasato di cinghiale, il coniglio e altro ancora. Lumache naturalmente: scelta obbligata. Per il bere, essendo mezzogiorno, ci sta una bottiglia d’acqua e due bicchieri di vino. Debora che raccoglie le ordinazioni, mi guarda: “Ma come due bicchieri? Non esiste, mezzo litro”. Vorrei spiegarle che fuori ci sono 34 gradi e dovrei fare un viaggio di 30 chilometri circa, ma desisto. Arriva la brocca e due bicchieri di quelli piccoli. In Veneto direbbero “un’ombra de vin”. L’attesa è lunga ma Debora ci tranquillizza: “E’ tutto espresso e fatto in casa”. Ed è vero: sia i tordelli che i pici sono uno spettacolo. Il sugo poi è semplicemente divino. Debora spiega che ci mette otto ore per cuocerlo.

Amo definirmi un cultore dei tordelli o ravioli di magro (ricotta e spinaci). Nel senso che, due volte l’anno (Natale e Pasqua), ne preparo circa 180, da zero al prodotto finito. Piacciono a figli e nipoti. Meno a Margherita che si trova la cucina devastata. Bè, niente da dire. In una scala in cui i miei tordelli sono da 10, quelli di Debora sono da 10 e lode. L’apoteosi arriva invece con le lumache: semplicemente da applausi a scena aperta. Debora le acquista da un’azienda del Lazio e poi le spurga con un procedimento che dura tre giorni. Si vede e si sente. A Margherita non piacciono, per cui abbandona i secondi e sceglie una crostata di frutta, ottima. In questo caso il sogno continua con il conto. Non vi dico quanto ho speso, ma il rapporto qualità/prezzo è clamoroso. Verrebbe da abbracciare Debora e il cognato Fabio. Ma il Covid lo impedisce.

Vi ho mostrato due modi di fare ristorazione. Da una parte un locale simil fighetto che strizza l’occhio al mondo degli stellati, senza riuscirci. Dall’altra una umile trattoria, di quelle che ce ne sono tante in Italia, dove il cibo viene fatto con amore e passione. E dove il connubio sapere e sapore ha la sua declinazione massima. Il problema però, in questo caso, è il futuro. Sapranno le nuove generazioni di Debora e Fabio rispettare e portare avanti le tradizioni trasmesse dai padri e dalle madri?

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