Scordamaglia (Filiera Italia): “L’export supererà i 50 miliardi. Ma attenzione alle imitazioni. Le fiere? Non devono essere solo incontro tra buyer e seller”

Milano – “Quest’anno l’agroalimentare centrerà l’obiettivo che si era dato all’Expo di Milano nel 2015: per la prima volta l’export supererà i 50 miliardi, anche se con un anno di ritardo per la pandemia. Ma per essere competitivi, oggi il marchio non basta più. Dobbiamo cambiare il racconto del made in Italy”. Ad affermarlo, sulle pagine del Corriere di domenica 22 agosto, è Luigi Scordamaglia (foto), consigliere delegato di Filiera Italia e ceo di Inalca-Gruppo Cremonini. Che rilancia il monito sull’annoso problema dell’Italian sounding. “Il falso nel nostro settore ha ormai superato i 100 miliardi di euro e aumenta ogni anno, più veloce dell’export”, sottolinea Scordamaglia. “I più grandi taroccatori sono gli Stati Uniti, perché c’è molta richiesta di prodotti italiani e non ha un accordo bilaterale con la Ue: su circa 27 miliardi di dollari di prodotti alimentari venduti come made in Italy, solo uno su sette è vero”. Recente il caso del Cile, dove il consorzio Usa Ccfn (Consortium of common food names) ha chiesto la registrazione di tre marchi: Asiago, Mortadella Bologna e Parmigiano. “Nel caso del Cile l’affronto è grave”, afferma Scordamaglia. “Non ci si limita a usare il nome comune, come parmesan, ma il nome registrato come Bologna e Asiago. Manca una struttura che ci tuteli, però siamo pronti a dare battaglia. Chiederemo all’Unione europea che si costituisca formalmente”. Interrogato sulla utilità dei grandi eventi fieristici, Scordamaglia risponde negativamente, “se è solo un incontro tra buyer e seller”, spiega. “Deve diventare momento di racconto collettivo, porta d’ingresso per portare i grandi compratori internazionali sul territorio. La fiera evolve, diventa palcoscenico: in ottobre Milano sarà food city, grazie all’unione di Tuttofood e Host”.

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