Di Giulio Rubinelli
Forst mette in campo un’idea semplice e fortissima: rivendicare il proprio territorio senza chiedere permesso a nessuno. Peccato che, nella foga di evocare radici e orgoglio, lo spot cada in un Medioevo un po’ da cosplay, più da rievocazione che da brand premium. Il risultato? Una strategia lucidissima vestita con un’estetica che fa a pugni col coraggio dell’idea (vedi qui).
Obiettivi della comunicazione
L’obiettivo della comunicazione è chiaramente il legame con il territorio.
Forst (Foresta) prende il nome dalla frazione di Lagundo (BZ) in cui l’azienda venne fondata nel 1857, al tempo un territorio parte dell’Impero Austriaco. Soltanto nel 1919 l’Alto Adige sarebbe stato annesso all’Italia con il Trattato di Saint-Germain.
Non si tratta di considerazioni marginali alla comprensione di questo spot. Non è un caso che i fondatori della Forst di cognome facessero Wallnöfer e Tappeiner.
A uno sguardo digiuno di ogni background, questa pubblicità potrebbe apparire persino ridicola, ma chi l‘ha concepita e girata sapeva esattamente dove andare a parare.
Inquadratura di apertura sulle Dolomiti, i vessilli, i cavalli, gli accenti marcatamente anglosassoni, gli abiti tradizionali. Ogni elemento dello spot grida ‘territorio’. E lo centra con grezza precisione.
Coerenza strategica con il brand
La distribuzione della Forst abbraccia l’intero territorio nazionale, con un impianto anche a Palermo, per intenderci. Quello della birra è un mercato a senso unico in Italia, con i grandi player che presidiano la stragrande parte dell’immaginario e degli scaffali italiani. Nel complesso, la birra industriale (non-craft) rappresenta la quasi totalità in termini di volume venduto in Italia. Un report cita che circa il 97% delle birre vendute sono ‘mainstream’, con solo una piccola parte riconducibile al segmento artigianale.
L’opposto del mercato vinicolo, che è invece ultra-frammentato, con migliaia di cantine, consorzi e denominazioni che coprono la maggior parte dei consumi.
La scelta di Forst (che nel 2021 deteneva una quota di mercato in Italia intorno al 4%) di posizionare il proprio marchio ‘al 100%’ su un territorio di confine, distante, così lontano dall’immaginario da catalogo patinato che siamo soliti vendere del Paese e al Paese, è una decisione coraggiosa e ben ponderata.
Basti pensare all’odio insensato e campanilista che viene puntualmente riversato sul campione Sinner, soltanto per via del suo accento. Ecco, sfoderare tutto il repertorio del clichè altoatesino in 30 secondi di spot richiede idee molto chiare su brand e posizionamento strategico.
Rilevanza della promessa
‘100% territorio, 100% passione, 100% impegno, 100% convivialità, 100% Forst’
100% è una promessa forte; qualsiasi cosa segua una percentuale a tutto tondo impallidisce difronte alla premessa. Basta quel numero a promettere carattere, sicurezza, forza.
La scelta dell’elemento percentuale stesso è di per sè interessante, trattandosi nel caso della birra di un prodotto cui viene istintivamente fatto riferimento in percentuali: le gradazioni alcoliche delle Forst vanno dalle lager con i loro 4,8%, alla Doppelbock con 6,5% e la Heller che raggiunge i 7,5%. Non manca l’analcolica con gli 0,0% cubitali in etichetta.
Invece che giocare sui “volumi piccoli”, ma riconoscibili di prodotto, scegliere di andare sul 100% è una promessa di premiumness valoriale assai audace che pochi brand sentono di potersi permettere.
Coerenza del tono di voce vs target
Non si ‘ordina’ una Forst: più spesso si accetta, se c’è, come una scelta identitaria e non intercambiabile. Chi la compra a scaffale non ci inciampa, ma la cerca, perché sa esattamente cosa vuole. È un pubblico fedele, legato a un’idea precisa di territorio, ritualità e autenticità. Lo spot parla a loro senza esitazioni, utilizzando un tono epico-tradizionale che rifiuta l’ironia e preferisce la solidità delle origini. È una scelta narrativa che può sembrare fuori dal tempo, ma che funziona esattamente perché coerente con il target: racconta un mondo che non ha bisogno di ammodernarsi per risultare credibile. E in questo quadro antico, la promessa del “100%” introduce una nota di contemporaneità che non stona, ma aggiorna: una sorta di ponte tra la tradizione difesa a spada tratta e l’ambizione di un marchio che vuole riaffermarsi oggi, non ieri.
Qualità della realizzazione
Strategicamente questo spot sarà anche una macchina ben oliata, ma sul piano della realizzazione lascia parecchio a desiderare. L’impianto visivo sembra più vicino alla rievocazione storica da sagra di paese che a una produzione nazionale del 2025. L’estetica oscilla goffamente tra un Medioevo da cartolina e il XIX secolo, senza mai trovare un equilibrio credibile: costumi generici, accenti caricaturali, atmosfere che sfiorano involontariamente il pastiche. L’effetto complessivo è una messa in scena rigida, poco cinematografica, dove ogni scelta – dalla fotografia troppo patinata ai dettagli di scenografia – sembra urlare ‘folklore’ più che ‘heritage’. Peccato, perché l’idea strategica meritava un’esecuzione più coerente, più moderna e soprattutto più rispettosa del gusto dello spettatore.