Mia figlia Valentina, nel 2003, si laureò, 110 e lode, in Scienze Politiche alla Cattolica di Milano. Aveva tre possibilità per il post laurea: andare a lavorare col padre, scartata subito; andare in Canada in un prestigioso ufficio di rappresentanza; andare in Africa con Avsi, una delle più importanti Ong italiane, presente con i suoi cooperanti in tutto il mondo. Scelse il Continente Nero. E visse per tre lunghi anni dapprima a Kitgum nel Nord dell’Uganda e successivamente a Kampala, nella capitale.
La situazione nella prima destinazione era drammatica: Aids imperante, malaria, bambini soldato. L’unico luogo sicuro della regione era l’ospedale con i medici occidentali. Tutte le sere accoglieva i bambini e le bambine provenienti dai villaggi circostanti che lì dormivano, per terra, su delle stuoie di paglia. Era l’unica soluzione per non venir rapiti dai guerriglieri che si opponevano al governo centrale, democraticamente eletto.
Questo lungo preambolo introduce un ragionamento su quanto sta accadendo, dapprima negli Usa e poi in Europa. L’ideologia Woke, partita dalle università americane, sta coinvolgendo il nostro continente con esiti imprevedibili. Cosa si contesta? Tutto, o quasi tutto. Sostanzialmente, il capitalismo che sta corrompendo il pianeta e i suoi abitanti, a scapito delle popolazioni più deboli ed emarginate. Alla base c’è un odio nei confronti di un sistema, quello dei bianchi, che, secondo gli alfieri di questa narrativa, ha procurato mali a non finire all’uomo e al pianeta.
Bene, ma torniamo all’esempio dell’inizio. Se in quello sperduto ospedale a Kitgum non ci fossero stati dottori occidentali che, grazie alle più avanzate scoperte di Big Pharma, avessero somministrato medicine contro la tubercolosi, l’Aids e le altre patologie presenti, quella popolazione sarebbe stata decimata. “La malaria sta diminuendo in alcune regioni dell’Africa”, sottolinea nel suo editoriale sul Corriere della Sera Federico Rampini. “Le ragioni della sua ritirata sono molteplici: si va dalle bonifiche di zone paludose alla distribuzione di reti anti-zanzare, dalla maggiore diffusione dell’aria condizionata (negli ambienti urbani), alle cure più accessibili; infine ci sono i recenti progressi sul fronte del vaccino. Tutti questi miglioramenti, tutti senza eccezione, sono dovuti a tecniche occidentali, aiuti occidentali, campagne finanziate e promosse dall’Occidente o da organizzazioni internazionali che portano le nostre impronte”.
“Il progresso igienico-sanitario portato dall’Occidente è ben più antico. Comincia nell’Ottocento, prosegue per tutto il Novecento, continua ai nostri giorni. Si va dalle moderne fognature alle infrastrutture per distribuire acqua potabile, dall’aspirina agli antisettici e antibiotici. Se la longevità media degli africani si è allungata, se la mortalità delle madri al parto e i decessi dei neonati sono diminuiti, lo si deve esclusivamente alla penetrazione di una medicina occidentale che ha soppiantato – non sempre e non del tutto, purtroppo – i rimedi somministrati dagli stregoni”.
Alla faccia di quello che si racconta nelle università americane, il progresso è merito dell’Occidente. La diffusione dell’energia elettrica, fin dalle origini con la vocazione di offrire un’alternativa ai motori a combustione, la dobbiamo all’inventore e capitalista Thomas Edison, non al Wwf. I pannelli solari, l’auto elettrica, tutte queste innovazioni sono germinate prima nei laboratori di ricerca pubblici e privati dell’Occidente, poi negli investimenti dei nostri capitalisti. Non è stata Greenpeace a inventare la batteria al litio; né c’è riuscita la pianificazione socialista sovietica o quella di Mao Zedong in Cina.
Vogliamo parlare della plastica? Senza le bottiglie e i contenitori in plastica sarebbe stato difficile trasportare l’acqua dai pozzi e portarla nei villaggi. Per non parlare delle siringhe e di tutta quella strumentazione, in plastica, usata per evitare infezioni mortali.
Ma andiamo avanti. E’ proprio grazie all’economia di mercato occidentale che oggi l’Uganda è una delle nazioni più avanzate dell’Africa. Ben lontana da questi stati socialisti in cui la povertà, lo sfruttamento, la corruzione è tuttora presente. E qui permettetemi un nota bene. Sono contento che si stia realizzando un piano Mattei per sostenere il Continente Nero. Ma i soldi stanziati non devono finire nelle mani dei soliti burocrati, capaci solo di far crescere i loro conti nelle accoglienti banche in Svizzera o in altri paradisi fiscali.
Tutto questo per dire che taluni slogan lanciati nei vari cortei pro Palestina che vediamo attraversare le nostre città sono oggettivamente fuori luogo. E da chi sono formati? Dai nipoti, pancia piena e sneakers da 200 euro, di quegli stessi compagni che manifestavano contro l’imperialismo dal ’68 in avanti. Si cominciava a fare cortei in ottobre. Ci si fermava a dicembre dopo il 12 (anniversario della strage di Piazza Fontana). Giusto giusto in tempo, i più ricchi, per le doverose sciate in amene località montane, pagate dal papi capitalista. Per poi ricominciare la lotta in gennaio fino a maggio. Da giugno in avanti i compagni andavano in vacanza in Sardegna.
Li ho ritrovati quei comunisti immaginari. Nel tempo si sono rivelati ben peggiori dei loro padri che contestavano. Tagliatori di teste fra i più feroci. Inquinatori senza ritegno. E oggi, per lavarsi la coscienza, dalla parte dei loro nipotini dei Fridays for Future (a proposito, dove sono finiti Greta e i ‘gretini’?). Fieri di vederli sfilare con le bandiere dell’anticapitalismo e del Green in mano.
Ma ben sapendo che, fra qualche anno, cambieranno idea. E diventeranno come loro. Anzi, peggio.