Contratto alimentaristi: tutti i retroscena

2020-11-13T16:02:10+02:002 Ottobre 2020 - 12:55|Categorie: Aperture del venerdì|Tag: , , |

Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, prova a ricucire sul rinnovo. Ma il settore è in fermento. Anche Bonterre-Gsi e Citterio seguono la strada delle tre associazioni ‘ribelli’.

“Nessuno di noi ha mai pensato né parlato di blocco dei rinnovi, il problema sono le regole da rispettare. Confindustria ha sui contratti un duplice dovere. Sacro rispetto per l’autonomia delle associazioni. E richiamare tutti al rispetto delle regole. Noi non discutiamo la libertà delle imprese di sottoscrivere i contratti che vogliono. Come sta avvenendo nell’alimentare. Ma non possiamo immaginare che accordi in violazione alle regole sottoscritte due anni fa possano ricadere a cascata su tutti i nuovi Ccnl”. Parole e musica di Carlo Bonomi, da maggio presidente di Confindustria. L’occasione per piazzare la stoccata, su un tema rovente come il rinnovo dei contratti, arriva dall’assemblea annuale della confederazione, andata in scena il 29 settembre a Roma.

Il problema è che l’alimentare è un settore quanto mai composito, dove mantenere un contratto unico si sta rivelando un’impresa titanica. Innanzitutto per le diverse dimensioni delle aziende: l’86% delle imprese ha meno di dieci addetti, e appena lo 0,2% può contare su oltre 250 dipendenti (fonte: Nomisma). Ci sono multinazionali presenti in tutto il mondo come Ferrero, Barilla e Lavazza: guarda caso tre pesi massimi di Unione italiana food, una delle associazioni ‘ribelli’ che hanno sottoscritto il contratto a fine luglio. E poi ci sono imprese medie, piccole e piccolissime. Assolutamente non paragonabili ai colossi di cui sopra: è chiaro che per un big che sviluppa all’estero gran parte del fatturato, l’Italia è la periferia dell’impero.

Altro discorso, invece, per un’azienda dalle dimensioni più contenute, obbligata a fare i conti in ben altra maniera. Su questo fronte bisogna dire che Bonomi, almeno a parole, sembra attento. Come ha dichiarato sempre a Roma, i contratti siglati da alcune associazioni rischiano di mettere “in enorme difficoltà tantissime imprese a minori margini”.

In effetti, quello delle marginalità è un altro nodo gordiano. Anche perché i margini non dipendono solo dalla dimensione, ma anche dal settore in cui operano le imprese. E, ancora una volta, paragonare aziende di segmenti diversi è complicato. Sappiamo bene che i margini variano molto, anche tra prodotti dello stesso comparto. Di conseguenza il costo del lavoro può diventare una voce da guardare con maggiore o minore attenzione.

Ma, al di là delle buone intenzioni e delle belle parole, tra le aziende dell’alimentare lo stesso presidente di Confindustria è fonte di malumori. All’inizio si era presentato come colui che avrebbe dovuto sbattere i pugni al tavolo del governo, ma con il passare dei mesi sembra essersi ‘normalizzato’. E dato che le aziende pagano fior di quattrini alle sedi territoriali della confederazione, in molti si chiedono quali siano i benefici. L’impasse sulla questione del contratto non fa che confermare questo scetticismo. D’altra parte, Bonomi non può certo permettersi di alzare la voce con Ferrero e Barilla. Con tutti i soldi che danno a Confindustria…

Da ultimo, vale la pena ricordare il recente strappo di Bonterre-Gsi e Citterio: altri due player di peso che hanno deciso di seguire la via tracciata dagli scissionisti Unionfood, Assobirra e Ancit. Se per Bonterre, che al suo interno annovera Parmareggio e Gsi, si può comprendere la scelta, meno per Citterio che non ha ramificazioni nel settore caseario.

In questo scenario bisogna anche ricordare l’attivismo dei sindacati, che non perdono occasione per ricordare la disparità di trattamento e sottolineano “il contratto qualificante e di grande valore” siglato il 31 luglio con le tre associazioni.

Stando così le cose, secondo fonti solitamente bene informate, alla fine le condizioni dei ‘ribelli’ verranno accettate da tutti. Con buona pace di Confindustria e di Bonomi. Che, finito ormai in un ‘cul de sac’, per uscirne avrebbe bisogno di un ‘sac de cul’… 

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