La ripresa del commercio manda in tilt la logistica mondiale. Mancano i container, ma anche gli autisti. E i prezzi schizzano alle stelle. A vantaggio di pochi. E a scapito di molti.
Tra i settori che la pandemia ha rivoluzionato, c’è senza dubbio la logistica. La chiusura di alcuni grandi porti a causa dei focolai di Covid-19, il rallentamento delle procedure di controllo e sdoganamento, la crisi delle materie prime collegata anche ai lockdown produttivi che si sono verificati, a macchia di leopardo, nel 2020, hanno trasformato le attività di trasporto merci in miniere d’oro. La ripartenza economica delle grandi regioni industrializzate – prima in Asia, poi negli Usa e successivamente in Europa – ha determinato un picco nella domanda di beni e commodities e un aumento incontrollato dei prezzi, sia delle materie prime sia dei mezzi per trasportarle. Determinando la disperazione di alcuni e l’improvvisa ricchezza di altri. Soprattutto dei grandi carrier navali che, in un solo anno, oggi realizzano gli stessi profitti che prima realizzavano in due. Secondo i dati Anima-Confindustria, da marzo 2020 a luglio 2021 il costo del nolo marittimo container per la rotta Shanghai-Genova è cresciuto del 709,5%.
Più dell’80% della capacità mondiale di navi portacontainer è nelle mani delle prime 10 compagnie di navigazione. E al vertice di questa piramide c’è Maersk. Nel secondo trimestre la società danese, che trasporta un container su cinque nel mondo, ha registrato un fatturato record del suo business ‘Ocean’, valutato in 11,1 miliardi di dollari, rispetto ai 6,6 miliardi del 2020. E un reddito operativo (Ebit) di 3,6 miliardi, rispetto ai 500 milioni dello scorso anno. Grazie a un aumento dei volumi del 16% e a un incremento del 60% delle tariffe medie di nolo. Ai primi di agosto, Maersk ha anche annunciato l’acquisizione di due società di logistica per l’e-commerce, una negli Usa e una in Europa, e l’intenzione di potenziare ulteriormente il suo business via terra attraverso altre acquisizioni strategiche.
Il traffico navale non è infatti il solo a essere andato in tilt con la pandemia. Il boom dell’e-commerce e dell’home delivery hanno contribuito a un’impennata nella movimentazione delle merci anche su strada. E tutti, dagli operatori logistici alle catene di supermercati, sono disposti a pagare a peso d’oro gli (introvabili) autisti. In Italia, Gerardo Napoli, amministratore unico della Napolitrans, specializzata nel trasporto a temperatura controllata, ha lamentato che, benché offra un regolare contratto logistico e una retribuzione di 3mila euro al mese, non riceve candidature per quei 60 posti da autista di cui ha disperatamente bisogno. Lo stesso accade a chilometri di distanza, alla Fercam di Bolzano – multinazionale della logistica con un giro d’affari di circa 800 milioni di euro – che cerca urgentemente 40 autisti di camion con conoscenza dell’inglese.
Ma se da noi va male, in Inghilterra va anche peggio: agli impedimenti della pandemia si sommano quelli della Brexit, che hanno reso il mercato del lavoro poco appetibile per gli stranieri, ‘zoccolo duro’ della manodopera nel settore. Nel Paese sarebbero 100mila in meno rispetto al pre-Covid, secondo la Road Haulage Association (Rha), l’associazione degli autotrasporti inglesi. Risultato? Scaffali semi deserti e Grande distribuzione in affanno. E la situazione è diventata così grave che il governo si è detto pronto a schierare l’esercito – 2mila autisti del Royal Logistics Corps – per trasportare le merci. “Non c’è mai stato un momento migliore per mettersi alla guida di un furgone Waitrose e John Lewis”, sottolinea Mark Robinson, direttore supply chain per John Lewis & Partners (Lgv), catena di grandi magazzini inglese e proprietaria dell’insegna di supermercati Waitrose. Il marchio ha infatti annunciato, l’8 agosto scorso, un aumento di salario di 2 sterline l’ora nella paga giornaliera – per un totale di 5mila sterline l’anno – agli autisti della sua flotta.
E mentre il mondo osserva con il fiato sospeso le grandi manovre di questa nuova ‘elite’, si avvicina ogni giorno di più il periodo più critico dell’anno per il commercio internazionale: il Natale. E quest’anno, riuscire a portare sugli scaffali di tutto il mondo palline e giocattoli, panettoni e bottiglie di vino, potrebbe non essere così scontato. Anzi, probabilmente, di sconti sulla merce, ne vedremo ben pochi.