Quale modo migliore per scoprire la cultura locale di un Paese se non curiosare tra le abitudini alimentari – e non – dei suoi abitanti? Grazie ai social è stata addirittura coniata una definizione: grocery tourism. E c’è già chi ha capito come monetizzare il trend.
di Federica Bartesaghi
Sono il luogo che meglio incarna la cultura alimentare di un Paese. Sono lo specchio, senza camuffamenti o distorsioni, di quella che è la vita quotidiana delle persone. Parliamo ovviamente dei supermercati, che da un po’ di tempo a questa parte sono entrati nella ‘top 10’ delle mete da visitare in un viaggio all’estero, a qualsiasi latitudine.
All’affermarsi di questa tendenza hanno certamente contribuito alcuni fattori. Il primo, la condivisione social di ‘food traveller’ e influencer di vario genere e tipo, in cerca dei prodotti più ‘instagrammabili’. Anche il turismo di massa (quell’overtourism di cui ai giornali piace tanto parlare) ha fatto la sua parte, complice la tanto triste quanto progressiva omologazione delle grandi città: ovunque le stesse catene di ristoranti, ovunque gli stessi Zara, Starbucks ed H&M; ovunque gli stessi escamotage acchiappaturisti. C’è poi un altro aspetto strettamente collegato a questo: forse i turisti si sono stancati di essere trattati come polli da spennare. Dove trovare allora, se non al supermercato, un pizzico di autenticità al giusto prezzo?
Faccio un esempio. Questa estate sono tornata per un giorno, dopo 15 anni, a Madrid (città che purtroppo ha subito l’omologazione di cui sopra). Sono andata al Mercado de San Miguel, in pieno centro storico, che ricordavo come una chicca in cui mangiare tapas squisite. Le tapas sono ancora squisite, ma vendute a prezzi assurdi: 12 euro per una empanada, che altro non è che un fagottino di pasta ripieno grande come un pugno. 20 euro una porzione da passeggio di jàmon serrano. Va bene la location, va bene l’esperienza, però… Al supermercato, con meno di 5 euro ho mangiato un autentico bocadillo spagnolo, farcito con un’abbondante dose di ottimo jàmon serrano.
Per tutte queste ragioni e altre ancora, il supermercato è stato quindi promosso da ‘incombenza casalinga’ a ‘raffinata meta turistica’ e come sappiamo bene, laddove nasce la domanda, qualcuno crea l’offerta. Ovvero chi ha capito che si poteva monetizzare il trend.
Non poteva succedere che in Giappone, dove il ‘grocery tourism’ è probabilmente nato, vista la quantità di cose bizzarre che è possibile acquistare nei vari 7-Eleven, Lawson o FamilyMart del Paese. In una parola, i famosi ‘konbini’, i convenience store giapponesi di cui il nostro Luigi Rubinelli è probabilmente divenuto uno dei massimi esperti mondiali (leggi qui).
I konbini sono proprio quelli che, grazie a TikTok e influencer, hanno guadagnato una popolarità tale tra le giovani generazioni che alcuni tour operator hanno pensato bene di lanciare i ‘konbini tour’, dove i turisti vengono guidati in un itinerario tra le location più particolari, con tanto di aneddoti storici e chicche gastronomiche. Un format che potrebbe essere trasposto anche nei supermercati italiani? Perché no, magari trovando la giusta formula, nelle località di villeggiatura o nelle città d’arte. E perché no, magari in collaborazione con aziende grandi o piccole del territorio. Un’occasione di business che, visti i tempi che corrono, può valere almeno una piccola riflessione.
Che poi diciamocelo, oggi si parla di ‘grocery tourism’ perché tutti hanno una telecamera nel telefono, ma il piacere di lasciarsi stupire dalle corsie dei supermercati non è nato certo con TikTok. Ricordo come fosse ieri la prima volta che sono entrata in un supermercato negli Stati Uniti, una ventina di anni fa. Ero incantata dalla quantità di prodotti assurdi che c’erano in vendita – e venduti in confezioni assurdamente grandi (comprare 1 litro di latte era impossibile, al massimo potevi comprare l’insollevabile tanica da 5 litri). Ma soprattutto ricordo l’acqua. Da noi o era frizzante o era naturale (e salvo poche eccezioni, è ancora oggi così). Là c’era un’acqua per ogni gusto e aromatizzazione possibile e immaginabile: lampone, menta, fragola, cola… Succedeva 20 anni fa, ma poteva essere ieri.