Gland (Svizzera) – L’olio di palma mette a rischio la biodiversità degli ambienti tropicali, ma sostituirlo con altre coltivazioni sarebbe controproducente. A sostenere questa tesi è l’International union for the conservation of nature (Iucn), che in un report fa il punto sulla situazione. Dal 1980 al 2014 la produzione di olio di palma è cresciuta di 15 volte, le previsioni stimano un aumento annuo della domanda dell’1,7% fino al 2050. Se l’espansione delle piantagioni, secondo l’Organizzazione, rappresenta una delle principali cause di deforestazione nel Sud-Est Asiatico e in America Latina, con una produzione che mette a rischio 193 specie animali, è anche vero che sostituire l’olio di palma con altri oli vegetali sarebbe inutile, se non controproducente. Anzitutto per il livello di consumo del suolo: a parità di quantitativo di olio, altre coltivazioni richiederebbero molto più terreno, provocando un’ulteriore perdita di biodiversità e spostandone il fulcro dall’ecosistema tropicale verso altri. Proibirne l’utilizzo, inoltre, spingerebbe i produttori ad abbassare i prezzi per cercare nuovi mercati, il cui interesse verso una produzione responsabile sarebbe minore. A ciò si aggiungono rischi sociali: in Malesia, ad esempio, la sopravvivenza di oltre 3 milioni di persone dipende da questa coltivazione. Cosa fare dunque? L’Iucn spiega che la strada da percorrere non è il boicottaggio, ma quella della responsabilità sociale d’impresa. Le aziende richiedano olio sostenibile certificato. Allo stesso tempo, il sistema di certificazione andrebbe revisionato per farvi aderire la maggior parte dei produttori e per pianificare con cura l’installazione di nuove piantagioni, in modo da limitare la deforestazione.
Foto: manifestazione dei coltivatori di olio di palma della Malesia, Kuala Lumpur, 16 gennaio 2018 (Bazuki Muhammad/AP Images for National Association of Smallholders Malaysia)