Ma perché i buyer non visitano le aziende?

2022-03-17T11:08:18+02:0017 Marzo 2022 - 11:08|Categorie: Editoriali del direttore|Tag: , |

Chi mi conosce sa che non sono un giornalista da scrivania. Mi piace andare in giro, incontrare la gente, visitare aziende e punti vendita. Insomma, mi piace stare in prima linea. Vedere e toccare con mano la realtà. E poi, solo dopo, fare le mie considerazioni. Si tratta di un approccio scientifico, meglio galileiano. Che deriva dai miei studi di fisica. Un esempio è stata l’inchiesta del mese scorso dal titolo ‘Discount: servizi e disservizi’ che abbiamo condotto sui negozi. Siamo partiti da un’ipotesi: l’igiene e la pulizia in questi punti vendita a volte lascia a desiderare. Per questo abbiamo voluto ‘testare’ ben tre punti vendita di otto catene. Non contenti del primo esperimento, abbiamo voluto ritornare sul ‘luogo del delitto’ la settimana successiva per verificare se i problemi e le disfunzioni che avevamo visto fossero stati sanati. Il tutto abbondantemente corredato da fotografie e video.

La lunga premessa è doverosa in quanto introduce il ragionamento sul quale si basa il titolo di questo editoriale: perché i buyer non vanno a visitare le aziende? Si parte da un dato. I compratori delle varie catene, nel valutare un prodotto rispetto a un altro utilizzano spesso questi criteri: lo storico, il sensoriale, il prezzo. Il primo è basato sul rapporto di lungo corso con fornitori, per l’appunto, storici. Legami consolidati nel tempo, prodotti sicuri e affidabili che non hanno mai dato problemi. È l’usato sicuro che, complice anche una certa inerzia, costituisce una sicurezza per l’acquirente, spesso poco disposto a rischiare. Per cosa poi?

Il nuovo però avanza. Così, di frequente, i buyer si trovano di fronte a prodotti innovativi che devono decidere se acquistare o meno. La valutazione diventa spesso così soggettiva: lo provo, se mi piace lo prendo. L’aroma, il gusto, ma anche il packaging incidono in maniera determinante nella scelta. Si passa poi all’aspetto economico. Ci sono buyer che se ne fottono bellamente dei primi due criteri. Il prezzo diventa il fattore dominante in una maniera troppe volte eccessiva. Sono lontani i tempi, per fortuna, dell’asta a doppio ribasso portata avanti da Eurospin e finalmente messa fuori legge, dopo una lunga battaglia della quale siamo stati fra i promotori.

Ma il malvezzo continua sotto altre forme. Che vanno sotto il nome di fee d’ingresso, contributo volantino e testata di gondola e altre amenità varie. Prezzo e contribuzioni: questo il messaggio. Forte e chiaro. Tutto il resto non conta. Operando tutto con contrattazioni online, mai in presenza e nemmeno con videochiamata. “Io il buyer di una certa catena non l’ho mai visto”: confida il direttore commerciale di un’azienda alimentare.

La domanda a questo punto è lecita: ma come si fa a giudicare un prodotto solo ed esclusivamente dal prezzo? Si tratta di una variabile dietro la quale c’è un mondo: la materia prima, la lavorazione, il sito produttivo, i controlli, il trattamento dei dipendenti, l’attenzione alla sostenibilità. Tutti fattori che non possono essere isolati e che concorrono alla ‘bontà’ o meno del prodotto. Pensiamo ad esempio alla materia prima.

Parliamo di salumi: un conto è utilizzare un maiale italiano, un altro uno romeno (con tutto il rispetto, naturalmente). Parliamo di formaggi: un conto è realizzarlo con latte italiano, un altro con latte tedesco. L’elenco potrebbe continuare a lungo con grano, olio e chi più ne ha… Con un nota bene: non entro nel merito delle caratteristiche del prodotto, ma solo del costo. Ma ci sono anche altre condizioni al contorno. Ad esempio l’azienda in sé. In alcune, la pulizia e l’ordine regnano sovrane. In altre, i locali sono stati rimodernati. Altri ancora hanno ampliato lo stabilimento per migliorare le condizioni di lavoro oppure hanno introdotto pannelli fotovoltaici o soluzioni energetiche a impatto zero. Per non parlare poi di chi ha laboratori di ricerca e analisi da far invidia alle grandi multinazionali. Tutte cose che si possono verificare solo andando a visitare le aziende, toccando con mano come novelli San Tommaso. Solo così si può fare una scelta che non sia basata esclusivamente sul prezzo. Capisco benissimo che è faticoso. Che stare in smart working o comodamente seduti nei propri uffici è meglio. Però il mondo è cambiato.

La pandemia ci ha insegnato tante cose. Fra cui quella di non dare mai nulla per scontato. Certo, nell’ambito della contrattazione, sotto sotto rimane un problema difficile da superare. Si chiama mazzetta. Su questo ho scritto, unico giornalista italiano, un lungo editoriale già due anni fa. Non lo voglio approfondire qui. Rimando tutto al prossimo numero…

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