Maura Latini: “Preoccupata per la crisi dei consumi. Ma non solo…”

2024-03-01T12:37:59+02:001 Marzo 2024 - 12:30|Categorie: Aperture del venerdì, in evidenza, Retail|Tag: , , , , |

Intervista a tutto campo con la presidente di Coop Italia. La perdita dei volumi di vendita. La situazione geopolitica. Il carrello anti-inflazione. Le polemiche contro la Gd.

Di Angelo Frigerio

Incontro Maura Latini, presidente di Coop Italia, alla conferenza stampa di presentazione della campagna per la parità di genere ‘Close the gap’ (leggi qui). E’ l’occasione per fare il punto sulla situazione dei consumi in Italia. Ma non solo…

Qual è il tuo giudizio sulla situazione, a livello di consumi, che sta vivendo il nostro Paese?

È ancora presto per tratteggiare quello che sta avvenendo nel 2024 e interpretare i segnali di questo primo mese e mezzo. Non voglio trarre conclusioni, ma c’è della preoccupazione.

La perdita dei volumi di vendita in Gd sta continuando in maniera significativa?

Un mese non è indicativo. Parliamo di gennaio, mese in cui la lettura dei consumi rispetto all’anno precedente è tecnicamente condizionata dalla collocazione delle festività, quindi non mi sento di dare un giudizio così presto. Bisogna avere qualche altra settimana in più. Però il calo c’è, tra l ‘1 e il 2% a valore e ancora più accentuato a volume -3% totale Italia, con una diversità sostanziale tra i canali. I discount tra lo 0 e il -2% a valore, e intorno al -1,7% a volumi sempre totale Italia. Serve un po’ più tempo per comprendere, ma d’altra parte, per le famiglie, non è cambiato niente. I salari sono rimasti invariati, l’inflazione contingente si è fermata, ma quella da ‘trascinamento’ dei due anni precedenti è sempre presente. Non si intravvedono i motivi per cui possa esserci una modifica nell’approccio ai consumi. E questo ci preoccupa per i mesi a venire.

E la situazione geopolitica non aiuta.

È preoccupante, invece che rassicurante: gli incrementi dei costi sono molto significativi per le merci che arrivano da un altro continente, a causa dei problemi di varia natura, dal trasporto tramite il canale di Suez alla crisi climatica che impatta particolarmente sui prodotti agricoli. Quindi non ci sono elementi strutturali che facciano propendere per l’ottimismo. E nessuno degli italiani sta capendo quanto successo, nel corso del 2023, riguardo ai consumi: troppe variabili hanno scatenato una spirale inflattiva mai vista negli ultimi decenni e che non accenna a rientrare.

Vero, ma non si tratta forse di un cambiamento nei consumi? È stato registrato un +4% nel mondo Horeca, quindi la gente va di più al ristorante. Ed è chiaro che, se esce a mangiare, non lo fa a casa. L’altro dato drammatico è quello dell’incremento della spesa per giochi e scommesse. Aggiungo anche la crescita dei viaggi, della cura corpo, capelli e viso… Vogliamo metterci anche le unghie? Sommando tutte queste cose, se hai una disponibilità economica limitata qualcosa bisogna togliere, alla fine. E cosa si toglie o si riduce? Il costo della spesa. Giusto?

È vero. Il denaro a disposizione è limitato soprattutto per alcune fasce di popolazione. E gli italiani si sono impoveriti in maniera rilevante rispetto al periodo pre-Covid. Durante la pandemia, che ha visto un cambiamento del modo di vivere, è stata persa la libertà di usare il tempo libero per viaggiare come per socializzare. Le riaperture del periodo successivo hanno portato anche alla volontà di recuperare il piacere di stare fuori, quindi è normale che si ridistribuisca l’investimento, con poco denaro a disposizione. Non è una situazione sorprendente, ma sono l’inflazione, l’aumento dei tassi di interesse, la staticità dei salari, quindi la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie, che rischiano di far diventare strutturali i cambiamenti. La volontà di condurre la vita in base ai propri bisogni e desideri, o più vicina possibile a essi, è un tratto caratterizzante di ciascuno di noi, che credo vada interpretato positivamente, se non fosse che la povertà crescente di alcuni milioni di italiani getta un’ombra preoccupante per la qualità della loro vita.

Quindi, che soluzioni proporresti?

C’è assoluta necessità, dal mio punto di vista, che il Paese stesso cerchi di essere più efficiente al suo interno, andando a toccare anche elementi strutturali come la burocrazia, il costo energetico, la remunerazione del lavoro e la sua tassazione. Se modificati, potrebbero mettere a disposizione delle imprese elementi ulteriori per recuperare risorse da mettere poi a disposizione del consumatore finale. Per contribuire con ciò al rilancio dei consumi e del Paese.

Come si potrebbe fare, nello specifico?

Il governo potrebbe mettere a disposizione più fondi per migliorare la qualità della vita delle famiglie più fragili e dei lavoratori. Questi si tradurrebbero immediatamente in maggiori consumi, perché soprattutto le fasce più fragili potrebbero migliorare la qualità della loro vita. C’è bisogno di uno sforzo collettivo, delle imprese e delle istituzioni che non si è visto durante la fase inflattiva.

C’è stata però l’iniziativa del carrello anti-inflazione proposta dal Governo. Qual è il tuo giudizio?

Il carrello anti-inflazione è stato un espediente utilizzato quando l’inflazione stava salendo moltissimo ed è stato chiesto alle imprese di fare la loro parte per abbassarla. Noi, come Coop, abbiamo adottato questa iniziativa aggiungendola alle promozioni già pianificate, con risultati positivi. Il grande assente in quella fase è stata la grande industria di marca, che non ha mosso un passo in quella direzione. E’ stato giusto aderire: se il governo chiama, di qualunque colore esso sia, noi rispondiamo.

Cosa ne dici di questa polemica contro la Grande distribuzione, che qualcuno indica come responsabile dei vari rincari?

Chi come voi fa questo lavoro sa che è un’enorme falsità e una semplificazione. Purtroppo questo non aiuta né a comprendere, né a risolvere i problemi. In generale, la Grande distribuzione è l’ultimo anello di una catena lunghissima che vede, tra il prezzo di produzione della merce e il prezzo di vendita al consumatore, una quantità di fasi intermedie tutte funzionali a rendere un prodotto – agricolo, in questo caso – vendibile in una struttura, sia di piccole sia di grandi dimensioni. Sono stadi intermedi che spesso sono duplicati e aggiungono costi, anche in molte casi non necessari perché l’Italia è un Paese frammentato anche organizzativamente e non sempre efficiente lungo l’intera filiera. Duplicazioni e intermediazioni fanno parte della realtà di oggi, e questo non aiuta il primo anello della catena, per esempio chi coltiva. In Coop, nei contratti del nostro prodotto a marchio per tutti i fornitori del mondo agroalimentare, abbiamo una clausola per cui non acquistiamo merce sotto il prezzo di produzione. Un valore, quest’ultimo, che non conosciamo, non essendoci un ente nazionale preposto. È il fornitore che deve alzare la mano e dirci che sotto una certa cifra non si può andare. Questa pratica non è certo risolutiva di tutti i problemi, ma se tutti inserissero questa clausola negli accordi sarebbe un passo avanti non da poco.

Altra questione spinosa: cosa ne pensi del delivery?

È un servizio consolidato, i consumatori sono oramai abituati ad averlo. Peccato però che nessuno dica la verità: ha una struttura con dei costi che non paga chi compra, ma chi lo gestisce. E li paga, purtroppo, anche quel lavoratore che ci consegna in qualunque ora, in qualunque momento, con qualunque mezzo, i prodotti a casa. Non va bene, è una delle ingiustizie che pesano sui lavoratori che dovrebbe essere obbligo di tutti sanare.

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