Permacrisi: questa la parola usata per descrivere il periodo che stiamo vivendo. Ma cosa significa? Sostanzialmente un periodo esteso di instabilità e insicurezza. Per certi versi è vero. Siamo passati in pochi anni dagli orologi alle nuvole, come ha raccontato bene il professor Daniele Fornari. Ovvero da un mondo in cui il cambiamento era lento, graduale, prevedibile a un altro in cui domina la discontinuità: veloce, improvvisa, con regole che cambiano da un momento all’altro. Dal mondo degli orologi appunto (determinato, ordinato, regolare), a quello delle nuvole (caotico, mutevole, irregolare). La pandemia, la guerra in Ucraina, l’aumento incontrollato dei costi energetici sono alcuni fra gli esempi macroscopici di come sia vera la teoria del docente dell’Università Cattolica di Milano.
Ma vorrei soffermarmi sulla parola ‘crisi’ che, normalmente, viene associata a qualcosa di negativo e nefasto. Come racconta Alessandro D’Avenia, insegnante e notista del Corriere della Sera: “Crisi è il gesto, descritto nell’Iliade, di separare e scegliere i chicchi dalla spiga. La pula finiva nel fuoco, il grano nel pane”. Quindi la crisi non rappresenta un’emergenza permanente a cui siamo fatalisticamente sottoposti, ma uno stato di giudizio e impegno permanente. Cioè un passaggio necessario, il preludio alla nascita di qualcosa di nuovo e più autentico. D’altra parte la parola deriva dal greco ‘crino’, che significa valutare.
L’ho vissuto in prima persona nel corso degli ultimi mesi. Verso la fine dell’anno sono solito andare a trovare i miei clienti che, per fortuna, sono tanti. L’occasione è il rinnovo dei contratti, ma gli incontri rappresentano sempre un momento in cui si tracciano i bilanci dell’anno che volge al termine. In tutti i colloqui il fattore incertezza aleggiava come una sorta di coltre spessa e pesante. Nuvole, come scrivevo prima, ma dalle quali spuntava sempre il sole. Nessuno dei miei interlocutori era disperato. Preoccupato sì, ma sempre con una grande voglia di riscatto. Certo, a fronte di fatturati tutti in crescita a causa dell’inflazione – ma non solo – le marginalità, quest’anno, si sono notevolmente ridotte. Ma si resiste e si guarda in avanti.
Come ha giustamente fatto osservare Carlo Dall’Ava, socio con Loste Tradi-France di Dok Dall’Ava, azienda specializzata nella produzione di San Daniele: “Oggi considero necessario riconfermare il valore del fare impresa italiano, quello in cui l’imprenditore si prende a cuore la sua azienda e con essa chi ci lavora e il contesto in cui è inserita. Si tratta di un intreccio strategico che può garantire maggiore competitività e un’energia creativa straordinaria, alimentata dal senso di appartenenza di ciascuno”. E aggiunge: “L’impresa è anche questione di anima. I traguardi non si raggiungono e si mantengono per molto tempo se non sono condivisi dall’intera comunità aziendale e se non sono costantemente alimentati da motivazioni culturali, storiche, dal desiderio costante di ricercare e innovare”.
Tanti i progetti in via di definizione o in dirittura d’arrivo (ampliamenti di stabilimenti, nuovi prodotti) che ho visto. La voglia di intraprendere, dunque, non manca. Il problema è un altro: manca la manodopera. Ed è questo, paradossalmente, il dato positivo. Ricordavo a tutti che durante la crisi del 2007/8 era il lavoro che mancava. Si licenziava, si faceva fatica ad arrivare a fine mese.
Oggi non è così. Un altro dato positivo è il Governo. Come ha detto il presidente Sergio Mattarella nel suo discorso di fine anno: “Dopo un chiaro risultato elettorale è nato un nuovo Governo, guidato, per la prima volta, da una donna… una novità di grande significato sociale e culturale”. Al di là quindi delle differenze politiche, ci troviamo di fronte a un Esecutivo forte che dovrebbe durare sino a fine legislatura. Era ora. Basta con i governicchi raffazzonati e d’emergenza. Il popolo ha deciso. E si sta a quello. E ciò consente, perdonatemi il pragmatismo, di operare con certezze, ripeto, al di là delle simpatie per questo o quel partito. Sempre che non faccia cazzate. Il presidenzialismo e la legge sui migranti, ad esempio, non mi convincono molto.
L’altro dato positivo è la fine della pandemia. Vi ricordate come eravamo messi lo scorso anno? Quante fiere sono state annunciate, rimandate, spostate? Oggi quel pericolo non c’è più o almeno si è molto ridotto. E così si possono programmare con sicurezza tutti gli eventi prossimi venturi. Certo, c’è l’incognita della guerra in Ucraina. Ma sono fiducioso. Spero ardentemente che, alla fine, prevalga il buon senso e che la diplomazia possa aiutare a chiudere un conflitto che così tanto male ha fatto sia ad aggressori che aggrediti. Se fosse così, si aprirebbe l’autostrada della ricostruzione. Con una serie di ripercussioni positive per tutta l’Europa. Sarà dunque un 2023 dalle grandi sfide: economiche, politiche, sociali. Un anno lungo. Certamente faticoso ma ricco, lo spero, di cose belle. A voi e alle vostre famiglie gli auguri miei personali e delle nostre redazioni.