Quando il buyer prende la ‘mazzetta’ (2)

2022-05-20T12:55:54+02:0020 Maggio 2022 - 12:55|Categorie: Editoriali del direttore|Tag: , , , |

Il Natale era poi un’occasione unica e irripetibile per gli ‘omaggi aziendali’. In una nota catena funzionava così. Il buyer prendeva gli ordinativi per le singole famiglie che facevano parte del ‘cerchio magico’: il panettone gastronomico, la faraona ripiena, il salmone, lo champagne e altro ancora. Provvedeva poi alla distribuzione nel retro di un negozio della catena, naturalmente fuori dagli orari d’apertura.

C’erano poi gli ordini al bar. Il rappresentante veniva ospitato dapprima nella sede della catena e successivamente invitato a bere un caffè nel bar sotto. Qui avveniva la seconda contrattazione, quella vera che aggiungeva un ordine ben più copioso a quello stipulato in precedenza con la Centrale. Con tanto di percentuale in ‘nero’.

Ma come si giustificava il tutto? In modo molto semplice: non ci si poteva dimenticare dei prodotti del territorio. E così il localismo faceva la parte del leone raggiungendo vette dell’80% al sell in. Ma non è finita qui. Anche la politica ha pescato a piene mani dall’alimentare. A Milano, negli anni della Prima Repubblica, c’era un ristorante vicino a via Palmanova che fungeva da punto di riferimento per la dirigenza di un noto partito che ha governato la città per molti anni. Qui avvenivano cene faraoniche con politici, magistrati, forze dell’ordine.

Assiduo frequentatore era il titolare di una nota catena di supermercati, poi fallita. Gli operatori del settore si chiedevano come mai questo imprenditore riuscisse ad aprire punti vendita in posti inaccessibili ai più, come la metropolitana o alcune vie del centro. Il motivo era chiaro: era lui che foraggiava la campagna elettorale di questo o quel politico.

Non sempre l’omaggio fornito ai buyer era in danaro contante. A volte si preferivano i buoni benzina o abbonamenti allo stadio. E così il povero capo area era costretto a recarsi allo stadio per acquistare: otto abbonamenti tribuna arancione, cinque rossa e così via. Non bisogna dimenticare inoltre un altro aspetto inquietante.

Il fenomeno dei recidivi, ovvero di buyer pescati con le mani nella marmellata e licenziati in tronco. A volte li si ritrova in altre catene, magari della stessa zona. Che l’uomo (molto più spesso rispetto alla donna) come un novello San Paolo sia caduto da cavallo e si sia redento? Ipotesi poco plausibile. Credo invece che ci giochi molto la contiguità con il titolare della catena. Che, a questo punto, ben sapendo che il buyer in oggetto ha la mano lunga, contratta con lui la percentuale del ‘nero’.

A questo punto però la domanda che ci si pone è: ma come facevano (fanno?) le aziende a procurarsi così tanto ‘nero’? Semplice: si avvalgono di forniture fatte a grossisti selezionati o superette. Un camion, guidato da un autista di fiducia, parte il mattino presto verso il punto vendita selezionato. Qui la merce viene scaricata e, in contemporanea, pagata in contanti che poi vengono recapitati in azienda. Toccherà poi al malcapitato capo area o direttore commerciale portare la valigetta a chi di dovere.

Già, ma nella superette come si fa a fare il ‘nero’? Qui il meccanismo è semplice. Alla cassa, rigorosamente la prima, vicina al box in ingresso, si piazza la moglie, la figlia o comunque qualcuno della famiglia. Si stacca il registratore dal fiscale e si cominciano ad emettere scontrini a manetta. Alla fine della giornata il ‘nero’ è tanta roba. Nel caso di controlli poi è un attimo dire: “Ho girato male la chiavetta…”

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