Il giudizio è del direttore del sito Il Fatto Alimentare. Lo abbiamo intervistato in seguito alla pubblicazione di alcune indiscrezioni, secondo cui l’adozione dell’etichetta a semaforo non sarà estesa a tutta l’Unione europea.
Secondo alcune fonti il Nutriscore non verrà adottato in tutta l’Unione europea. Cosa ne pensa?
La Commissione europea non ha confermato l’estensione dell’etichetta a semaforo a tutta l’Ue, ha detto che sta facendo delle valutazioni. Penso che le lobby abbiano lavorato molto bene per ottenere una dilazione sull’impiego dell’etichetta a semaforo. Un fatto gravissimo perché fa prevalere gli interessi delle lobby sul volere popolare. Senza considerare che l’Efsa e il Centro comune di ricerca hanno dato parere positivo rispetto alla sua applicazione e che sette Paesi già lo hanno adottato. Ci sono 150 studi scientifici che hanno promosso l’etichetta a semaforo, ma qualcuno preferisce ignorare l’evidenza.
Quali sono i punti di forza del Nutriscore?
È il sistema più semplice inventato sino a ora per stabilire se un prodotto è più o meno salutare. Fornisce un’informazione immediata sulla convenienza e sulla frequenza di consumo. Risulta utilissimo al consumatore per capire quale prodotto scegliere fra due appartenenti a una stessa categoria, tanto più che oggi molti prodotti hanno liste ingredienti lunghissime. La contrarietà del nostro Paese al Nutriscore è dettata dal solo desiderio di difendere le lobby industriali. E per farlo, tante bugie sono state dette, come il fatto che l’olio extra vergine e il Parmigiano Reggiano fossero marcati con il bollino rosso, anche se così non è mai stato. Adesso, dopo l’ultima revisione, il Parmigiano è rimasto arancione e l’olio extra vergine è verde.
Il Nutriscore quindi non danneggerebbe il made in Italy?
No, si tratta di una bufala: occorre difendere la vera dieta mediterranea, non il made in Italy, che è un’invenzione commerciale. Spesso si pensa che la dieta mediterranea preveda principalmente formaggi grana ed erborinati, prosciutto crudo e altri salumi e che, di conseguenza, questi prodotti siano da tutelare. Andrebbero in realtà consumati con moderazione, tanto che sono classificati con bollino arancione. Questo vuol dire che il Nutriscore ‘danneggia il made in Italy’? In realtà suggerisce buone abitudini alimentari, individuate dai nutrizionisti, che il Governo stesso dovrebbe promuovere. In Francia 1.400 marchi hanno scelto volontariamente di applicare il Nutriscore su tutto l’assortimento di prodotti alimentari. Il 62% dei prodotti lo riporta in etichetta. Eppure la tradizione gastronomica francese è ricca di formaggi e salumi. Non si dice, inoltre, che in Francia da quando c’è l’etichetta a semaforo sono migliorate le ricette dei prodotti, perché le aziende, per incrementare il punteggio hanno selezionato gli ingredienti e ottimizzato le ricette.
È chiaro al consumatore che il confronto debba avvenire tra referenze della stessa categoria?
Capire il Nutriscore è molto semplice. La regola base è che serve a confrontare prodotti simili, dunque olio con olio, latte con latte e così via. Fare un confronto di colore fra prodotti di tipologia differente, come Parmigiano e Coca Cola Light, per convincere le persone che si tratta di un sistema errato, come hanno fatto ministri politicanti e lobby italiane, non ha senso. Non mi sembra così difficile spiegare questo concetto.
Ma avrà dei difetti il Nutriscore se è stato bloccato…
La sua debolezza è oggettiva: le informazioni devono essere condensate in tre centimetri. È chiaro che non può essere completo. Il Nutriscore, ad esempio, non considera in alcun modo la presenza di uno o più additivi o di coloranti. Vorrei, però, fare chiarezza su un paio di aspetti.
Prego.
L’adozione del Nutriscore è una scelta volontaria in Europa, tant’è che aziende come Ferrero, pur essendo molto presente in Francia, non lo applica. L’altro aspetto che viene ignorato è che si può usare tranquillamente anche in Italia. Alcune aziende italiane lo applicano sulle etichette dei propri prodotti venduti all’estero. E nei supermercati come Esselunga, Lidl, Carrefour, Aldi… ci sono decine di prodotti che riportano il Nutriscore sulle confezioni. Molte aziende italiane che vendono surgelati e prodotti bilanciati avrebbero tutto l’interesse a utilizzare l’etichetta a semaforo che darebbe solo colore verde. Ma non lo fanno.
Per quale ragione?
Hanno paura delle lobby e del Governo, che in Europa è stato il promotore della lotta al Nutriscore. In aggiunta, chi dovesse scegliere di riportare il semaforo in etichetta dovrebbe pure svolgere una campagna per spiegare il Nutriscore. Il problema è che nel nostro Paese nessuno ha mai chiesto il parere dei nutrizionisti sull’etichetta a semaforo.
Il gioco forse non vale la candela?
Qualche mese fa ho scritto un articolo dal titolo ‘In Italia arriva l’etichetta a semaforo Nutriscore su 100 prodotti…’. Spiegavo che un’azienda italiana avrebbe a breve apposto sulle proprie etichette il semaforo e che avrebbe lanciato un’importante campagna pubblicitaria per spiegare la propria scelta. Nulla di quanto scrivevo era vero: era una provocazione. Penso però che esistono due o tre aziende che avrebbero questo potere. Ricorda la vicenda dell’olio di palma? Barilla ha iniziato a scrivere in etichetta ‘Senza olio di palma’, d’altra parte esistevano anche prove scientifiche a supporto della bontà della scelta. Numerose aziende, in brevissimo tempo, si sono allineate e hanno cominciato a fare a meno dell’olio di palma. La stessa cosa potrebbe accadere pure per il Nutriscore.
Il Nutriscore, dunque, a suo parere, può veramente fare la differenza sulle scelte di consumo?
Certamente. Le persone avrebbero un riferimento su cui riflettere: il semaforo è chiaro e lampante e aiuta a scegliere con attenzione quali prodotti portare in tavola. Osservare i suggerimenti del Nutriscore non significa rinunciare al piacere di un bicchiere di vino o di un tagliere assortito di salumi e formaggi, ma scegliere di consumarli con la giusta frequenza, che poi è quella suggerita dai nutrizionisti. Perché dunque non applicare l’etichetta? È questo che bisogna spiegare: il semaforo rosso non indica che il prodotto in questione faccia male, ma che deve essere consumato con moderazione. Il problema è la narrazione proposta fino a oggi, secondo cui il Nutriscore danneggia il made in Italy. I governi, però, dovrebbero pensare alla salute pubblica, ascoltando dunque gli scienziati, prima delle lobby.
In foto: Roberto La Pira, direttore de Ilfattoalimentare.it