Vino tarocco? Ci pensa Mr. Bean…

2022-04-29T10:52:33+01:0029 Aprile 2022 - 12:30|Categorie: in evidenza, Vini|Tag: , , , |

A processo un imprenditore di Canelli (Asti) e diversi grossisti, con l’accusa di falsificare produzioni vitivinicole pregiate. Coinvolto anche un macedone, omonimo dell’attore comico inglese. I fatti sono successi tra il 2018 e il 2020, e ora è il momento della verità…

Se c’è una cosa che nessuna crisi potrà arrestare, questa è sicuramente la proverbiale furbizia italiota. In Piemonte, terra nevralgica della produzione vinicola italiana, sta per andare a processo un’autentica banda, specializzata nella falsificazione di vini quotatissimi a scopo di frode commerciale. Una volta tanto, nell’ultimo scandaletto arrivato agli onori delle cronache non c’entrano fantomatiche centrali di contraffazione a opera dei sempreverdi cinesi di Prato. Italianissimi, difatti, i personaggi coinvolti: un produttore di Canelli (Asti), capitale italiana del Moscato, e un manipolo di grossisti vinicoli calabresi, lucani, pugliesi e veneti. Da definire ancora la posizione di alcuni mediatori apparentemente coinvolti nel pasticciaccio.

Che faceva, in pratica, l’eletta compagnia? Nell’impianto produttivo messo a disposizione dal viticoltore canellese, si destreggiavano in esperimenti degni del piccolo chimico: con coloranti, additivi e intrugli vari arricchivano e imbellettavano anonimi vini rossi, imbottigliandoli e vestendoli con etichette di prestigio. Così, ecco apparire dei fiammanti Tignanello e Sassicaia, nonché Amaroni attribuiti a vari produttori, e perfino il Sito Moresco, che è una delle bottiglie meno care di Angelo Gaja: forse nemmeno loro hanno osato profanare con dei tarocchi i mostri sacri del Re del Barbaresco, come il Sorì Tildin o il Sorì San Lorenzo, preferendo una bottiglia più economica. Il tutto, naturalmente, non poteva avvenire senza un acconcio approvvigionamento di fascette di Stato certificate Doc e Docg, anch’esse abilmente contraffatte.

Ma come? In un momento di carenza totale di materie prime, ivi compresa la carta per le etichette, saltano fuori le fascette fasulle? Ma no, tranquillizzatevi: i fattacci sono successi tra il 2018 e il 2020. All’epoca non c’era la crisi energetica e quella dei materiali, i malandrini potevano agire indisturbati. La classica celerità della giustizia italiana ha fatto sì che il processo fosse fissato solo in questi giorni, per essere peraltro rinviato al prossimo luglio. È istruttivo un particolare.

Sul suo sito web, il produttore accusato, di cui omettiamo il nome (chiunque è pienamente innocente fino a prova contraria, prima del terzo grado di giudizio), dichiarava: “Per noi i vini buoni e integri sono il nostro obiettivo”. Il che suona quantomeno paradossale, visto quanto sarebbe stato scoperto. E non è tutto: il suo complice, un macedone, era anche rimasto invischiato in un presunto traffico di esseri umani da impiegare come manodopera a basso costo nelle vigne locali, venendo pure condannato. Nome da battaglia, e guai a chi ride: Mister Bean. Proprio. Sembra una barzelletta, o il titolo di una commedia. Mister Bean e il suo complice piemontese che fanno Masseto fasullo, con la possibilità di lucrarne milioni.

Naturalmente, aspetteremo che le accuse formulate dal sostituto procuratore Francesca Dentis verranno dimostrate. In ogni caso, chiunque sia stato a produrli, i vini falsi sono stati trovati, e sono l’elemento davvero certo di tutta la faccenda. Ci sarebbe forse addirittura da rallegrarsene: è segno che il vino italiano, anche quello costosissimo, “tira” sempre, all’estero.

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