Il disegno di legge sulla concorrenza intende obbligare le aziende a segnalare la shrinkflation in etichetta. Sulle confezioni dovrà essere indicato l’aumento di prezzo rispetto alla versione precedente.
Quello della shrinkflation è un concetto ormai uscito dalla cerchia degli addetti ai lavori. La sgradevole pratica, conosciuta anche come sgrammatura, consiste nel proporre un prodotto allo stesso prezzo di prima, ma con all’interno una quantità inferiore. Spesso anche il packaging è il medesimo, dunque non è sempre facile accorgersi dell’alleggerimento. I grandi pionieri di questa pratica sono stati i produttori di fazzoletti di carta, con il passaggio da 10 a 9 in ogni pacchetto. Tant’è che oggi ci sembra assolutamente normale vederne nove, e magari domani ci faranno passare sotto il naso (è proprio il caso di dirlo) pure il pacchetto da otto, chissà.
Il problema è che nei recenti anni di inflazione galoppante, dallo scoppio del conflitto russo-ucraino in avanti, la pratica si è estesa a tutte la categorie merceologiche. E tra una sgrammatina di qua e una sgrammatina di là, ci troviamo con pacchi di biscotti, confezioni di snack e vaschette di salumi che perdono 10, 20 o 30 grammi come per magia, e inediti formati di bibite come 62 cl per alcune birre e 1,35 o 1,75 per la regina delle bevande gassate, la Coca Cola. Per non parlare del celebre gelato Magnum Algida: una volta pesava 86 grammi, mentre oggi si ferma a 70. E in rete non manca chi suggerisce di cambiare il nome in Mignon. L’elenco potrebbe continuare a lungo ma meglio fermarci qui.
La buona notizia è che il governo si è attivato per non far passare la sgrammatura sotto silenzio. Non si tratta della strada intrapresa lo scorso anno da Carrefour in Francia, ovvero indicare con apposito talloncino arancione il prodotto sgrammato sugli scaffali. Una strada peraltro un po’ ipocrita: forse che le nuove condizioni di prezzo e quantità venivano imposte dal fornitore all’insaputa della catena? Ci sembra alquanto bizzarro.
Il governo italiano, invece, punta a coinvolgere direttamente i produttori, obbligando le aziende a informare il consumatore “dell’avvenuta riduzione della quantità e dell’aumento del prezzo in termini percentuali tramite l’apposizione nella confezione di vendita di una specifica etichetta con apposita evidenziazione grafica” per almeno sei mesi. Così si legge nella bozza del Ddl concorrenza.
Insomma, se c’è meno prodotto all’interno delle confezioni, è giusto che il consumatore lo sappia. Anche se il prezzo resta il medesimo. Anzi, proprio il fatto di mettere in vendita i prodotti allo stesso prezzo di prima potrebbe trarre in inganno l’acquirente finale, ignaro della minor quantità di prodotto presente, e dunque ignaro del maggior prezzo pagato al Kg/litro.
Da quanto si apprende, le etichette dovranno diventare più trasparenti, con l’obbligo di segnalare l’incidenza sul prezzo, in termini percentuali, della minor quantità di prodotto presente. Il tutto in maniera chiara, con gli stessi caratteri utilizzati per indicare il prezzo unitario del prodotto.
Il disegno di legge sulla concorrenza, che comprende 32 articoli, interviene così su una materia delicatissima e guardata con attenzione da operatori del settore e consumatori. Di fatto, era tutto pronto per l’approvazione nel Consiglio dei ministri del 22 luglio. Ma poi le baruffe sulle concessioni autostradali tra Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture, e Raffaele Fitto, ministro degli Affari europei, hanno un po’ congelato tutto. Ad ogni modo, il disegno di legge dovrebbe essere approvato in una delle prossime riunioni dell’esecutivo, anche perché ci sono i vincoli del Pnrr che incombono. Tradotto: la legge andrà approvata per forza entro l’anno perché costituisce uno degli obiettivi per la settima rata di dicembre.
Forse sarà la volta buona per mettere un freno all’odiosa pratica della shrinkflation, ma bisogna tenere conto che il testo andrà discusso in parlamento, dove potrebbe essere ‘edulcorato’ e modificato in maniera importante.