Cibus Connecting Italy Magazine / Ruggero Lenti (Assica): “Dobbiamo fare sistema e difendere il valore dei prodotti”

2023-03-29T17:08:57+02:0030 Marzo 2023 - 09:00|Categorie: Fiere, in evidenza, Salumi|Tag: , , , , |

I trend più recenti dei salumi in Italia e all’estero. L’emergenza peste suina e le contromisure necessarie. I rapporti con la distribuzione. Intervista a tutto campo con Ruggero Lenti, presidente di Assica.

Di Federico Robbe

Quali sono i dati più recenti sulla produzione e sulle vendite di salumi in Italia e all’estero?
Sono disponibili i dati sulle vendite in Gdo (Fonte: Iri-Circana) nel 2022, e si tratta di dati positivi: +3,1% in volume e +6,5% a valore. Forse il quadro sarà meno brillante tenendo conto degli altri canali (Horeca e normal trade), ma dovremmo restare in positivo, e questo è un dato interessante.
Come commenta questi risultati?
Il delta fra aumento in volume e a valore del 3,4% non ha assolutamente ripagato gli incrementi dei costi di produzione sostenuti dall’industria. Questo significa che gli adeguamenti di listino necessari per l’aumento dei costi, sia energetici, sia di materie prime, non sono stati ribaltati sui prezzi al sell in.
Quali evidenze ci sono sul fronte export?
Nei primi 11 mesi registriamo un +0,4% a volume e un +7,9% a valore. Su questo si riflette il problema della Peste suina africana, che ha bloccato le esportazioni in Cina Giappone Taiwan, Thailandia, Perù, Messico, Ecuador, ecc.. Il dato a volume è estremamente positivo perché significa che si sono recuperate le mancate vendite nei Paesi che hanno fermato l’import, con una performance per nulla banale. In più, il dato in valore, 7,9%, vuol dire che c’è stato un riconoscimento sul prezzo da parte della distribuzione estera, a differenza di quanto avvenuto in Italia. Resta il fatto che ci sono segnali preoccupanti: il bimestre ottobre-novembre segna -6,8% in volume e +5,2% in valore. Quindi si è invertita la tendenza di crescita dei volumi oltreconfine.
Perché questa diminuzione, secondo lei?
Penso sia dovuta sempre all’impatto della Psa. Credo che anche i Paesi che attuano la regionalizzazione, siano più cauti nell’importazione di prodotti italiani.
Ovvero?
C’è un effetto psicologico: se proviamo a metterci nei panni di una catena o di un importatore, al minimo dubbio si tende a privilegiare un prodotto di altre nazioni.
Quali sono i Paesi esteri in cui le vendite sono andate particolarmente bene?
Pur non avendo dati aggiornatissimi, gli Stati Uniti sono il Paese che è cresciuto di più. Anche perché le aziende hanno investito sugli impianti di affettamento in loco. E dato che negli Usa il consumo di affettati è particolarmente elevato rispetto a quelli del banco servito, ne hanno tratto beneficio. Pensiamo anche ai vantaggi in termini di shelf life e di logistica.
Pensa sia in atto una concentrazione di aziende nel settore? Come giudica l’attivismo dei fondi di investimento?
Per quanto riguarda gli investitori finanziari, mi pare ci siano tante chiacchiere e nessun fatto. Ci sono casi sporadici, ma anche tanti pettegolezzi. È chiaro che in un momento di turbolenza come questo, il settore alimentare è piuttosto ambito perché è più sicuro rispetto ad altri, pur avendo margini più bassi. Quanto alla concentrazione, ci sono realtà solide che cercano di raggruppare aziende con specializzazioni diverse. Vedo più un processo di crescita ‘misto’, per linee interne ed esterne. Ma noto che stanno crescendo anche aziende molto piccole e artigianali, in grado di rispondere alla domanda di prodotti ‘tradizionali’ da parte dei consumatori.
L’epidemia di peste suina continua a essere presente in Italia: quali le misure più urgenti da adottare?
L’epidemia sta creando numerosi problemi all’export e i casi continuano ad aumentare. Capi infetti sono stati rinvenuti a soli 4 Km dal confine con l’Emilia-Romagna, non molto distante da Parma. Qualora i contagi arrivassero nell’area di produzione del Prosciutto di Parma Dop, sarebbe un problema gigantesco per tutto il settore. Vedremo come si muoverà il nuovo commissario straordinario, Vincenzo Caputo. Ad ogni modo le contromisure adottate finora sono corrette: non c’è altro da fare che recintare le aree infette e abbattere i cinghiali nel più breve tempo possibile. I nodi sono la rapidità e la qualità degli interventi.
E i fondi necessari…
Esatto, ad oggi i fondi non sono sufficienti per finanziare gli abbattimenti. È indispensabile aumentare le risorse perché bisogna difendere un settore che esporta per 2 miliardi di euro all’anno. Il rischio potrebbe essere interrompere un lavoro trentennale, molto lungo e complicato da tutti i punti di vista, che ha portato a incrementare anno dopo anno le vendite all’estero. Teniamo conto che tempo fa l’export si fermava a pochi milioni di euro ed era in mano a due-tre aziende. Oggi è tutta un’altra storia: l’export è trasversale a tantissime imprese. E in questo contesto, il nostro governo fa fatica a concedere 20 o 30 milioni per risolvere la faccenda? Mi pare un’assurdità.
Come giudica la decisione di Regione Lombardia di premiare con 100 euro chi abbatte un cinghiale femmina?
Mi sembra che vada nella giusta direzione, tutte le regioni coinvolte dovrebbero attuare misure simili, destinando risorse ad hoc. Dobbiamo chiarire che non si tratta di far west, questa decisione prevede una specifica procedura operativa con l’impiego di operatori abilitati alle attività di controllo faunistico e/o cacciatori abilitati al prelievo venatorio del cinghiale. Al riguardo mi permetta di dire che i cacciatori sono persone che rispettano la fauna e il territorio, svolgono una funzione importante per il ripopolamento. E sanno perfettamente cosa possono abbattere e cosa no.
Come sono cambiati nel tempo i valori nutrizionali dei salumi?
La selezione genetica e il lavoro dell’industria hanno portato a miglioramenti sostanziali della carne suina e dei salumi. Nelle carni, l’equilibrio tra grassi saturi e insaturi è cambiato a favore di quelli insaturi, che hanno effetti benefici e sono contenuti, per esempio, nell’olio d’oliva. In generale, c’è stato un miglioramento della quantità di proteine presenti nei prodotti. Per quanto concerne i salumi, tutta l’industria ha lavorato molto per ridurre il sale, l’elemento più ‘problematico’ a livello nutrizionale. Nel prosciutto cotto siamo passati in media da 3 a 2 g su 100 g di prodotto; per i prosciutti crudi il contenuto è stato ridotto da 5,5/5 a 4 g circa. Una diminuzione di circa il 20% che ha avuto effetti positivi sia in termini salutistici che a livello sensoriale e di proprietà organolettiche: un prosciutto più dolce permette di sentire meglio i sapori e i profumi. C’è stato anche un lavoro continuo per ridurre, e in alcuni casi eliminare, i conservanti. Per quanto riguarda poi l’apporto di vitamine, abbiamo un apporto alto di vitamina B12 e B6 nella carne e un apporto elevato di minerali tra cui zinco, ferro e fosforo. Insomma, i salumi sono prodotti che non vanno consumati in maniera massiccia, ma – come abbiamo visto – il loro profilo nutrizionale è sensibilmente migliorato nel tempo. E poi una bella fetta di salame, accompagnata da un bicchiere di vino, non risolverà certo i problemi nei momenti difficili, ma può aiutare. Proprio come il cioccolato, i salumi sono un ottimo antidepressivo, non dimentichiamolo.
Come fare fronte ai continui rincari della materia prima?
Il prezzo della materia prima sta ancora crescendo e c’è una carenza di suini. Quindi non è facile fare previsioni fino a quando continuerà questo trend. Per fortuna i prezzi dei lattonzoli stanno iniziando a calare in alcuni mercati esteri: vuol dire che si sta ricostruendo il parco dei suinetti. In Italia è difficile fare previsioni. Personalmente – e lo dice uno che lavora da 40 anni nel settore – non ho mai visto niente del genere. Quando il prezzo delle cosce per il circuito tutelato supera i 5 euro/Kg, un anno dopo, tendenzialmente, ci sono grossi problemi per le aziende. Ora che le quotazioni sono ben oltre i 6 euro, i problemi saranno ancora maggiori. Ad ogni modo penso che l’unica soluzione sia aumentare i prezzi. Il problema è che la distribuzione, in forza del suo potere contrattuale molto alto, sta facendo muro, mettendo le industrie una contro l’altra. Come settore dovremmo lavorare di più insieme ed essere un po’ meno ‘timorosi’. E, se non si ottengono gli aumenti richiesti, bisognerebbe rifiutarsi di vendere i nostri prodotti perdendo soldi, a costo di produrre di meno. Altre soluzioni non ne vedo.
È preoccupato per la diminuzione del potere d’acquisto dei consumatori?
Abbiamo vissuto un 2022 che non è andato male. Ma quest’anno potrebbe prendere una piega diversa. Il problema con cui ci andremo a scontrare è la riduzione dei consumi: d’altra parte, è aumentato tutto (bollette, mutui, ecc.), ma i redditi delle famiglie sono rimasti gli stessi; quindi, il potere d’acquisto si è ridotto. Per rendere ancora più chiara la questione, come Assica ci stiamo cimentando in un’analisi della catena del valore dei salumi con l’obiettivo di capire come questo si ripartisca tra i principali anelli della filiera. Al momento siamo in fase di analisi, ma una prima idea ce l’abbiamo già: il 48-52% del prezzo finale del prodotto rimane all’ultimo anello. Mi sembra inconcepibile, a maggior ragione in questo momento. Del resto, il settore conta circa 2mila operatori che permettono di avere un’offerta incredibile, ma siamo troppo condiscendenti con la distribuzione. Dovremmo invece capire il valore dei nostri prodotti. E la Gdo deve capire che non si può andare avanti così. Come associazione abbiamo anche chiesto al Masaf di organizzare un tavolo di filiera con tutti i protagonisti a discutere e confrontarsi. Dobbiamo capire che l’interesse del settore è difendere il valore dei prodotti. Non farsi la guerra.

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