Non credo di aver visto tutti gli stand della manifestazione. Qualcuno mi è sicuramente sfuggito. Ma ne ho visitati e osservati veramente tanti.
Di Luigi Rubinelli
Di seguito alcuni giudizi sulla manifestazione:
- Cibus, una fiera b2b, è una vetrina straordinaria per le imprese e i loro prodotti
- A parte gli stand faraonici, un po’ troppo pretenziosi e talvolta arroganti, la gran parte mostrano bene i loro prodotti, pochi però li illustrano e li commentano e nel farlo non segmentano la comunicazione. Diciamo che sono incentrati su loro stessi senza un contesto di riferimento. Sono un po’ troppo auto referenziali. Non tutti ovviamente e spiegheremo perché. Facciamo un esempio concreto: non basta parlare di filiera (e sono tantissimi quelli che lo hanno fatto): bisogna argomentarla e supportarla con dati di fatto, altrimenti è un termine che galleggia solo soletto, molte volte buttato li per caso.
- I consumatori stanno privilegiano i temi della salute e del benessere e della responsabilità (sociale, economica e ambientale). Sono davvero pochi pochi gli stand che hanno intercettato questi trend e li hanno valorizzati legandoli ai loro brand e ai loro prodotti.
- Forse Fiere di Parma e Cibus potrebbero diventare, volendolo, una content fair and educational exhibition (una fiera che produce educazione in senso stretto), se, per tempo, indicasse alle aziende i temi da affrontare nella comunicazione degli stand.
- Durante un convegno di Alimentando.info il Dg di Decò Italia, Gabriele Nicotra, ha provocato non poco la platea dicendo apertamente: “Forse aveva ragione Serge Latouche con la sua Decrescita Felice a dire che bisogna trovare un nuovo modello di sviluppo: produrre meno e meglio”. Apriti cielo, alcuni dei partecipanti hanno detto: chi è Latouche, che vuol dire? Segno dei tempi e del bisogno di educational, non è vero Antonio Cellie, Ad di Fiere di Parma?
Superate le conclusioni (che dovrebbero andare alla fine dell’articolo, ma è meglio talvolta essere irrituali), segnalo, divisi per prodotti e per il tema della responsabilità, le cose viste.
I prodotti
Sia ben chiaro, è una scelta arbitraria.
- Pastificio artigianale Rustichella d’Abruzzo: Chitarrone Primograno, uno spaghetto quadrato e davvero più consistente di quelli in commercio in grado di catturare di più il condimento.
- Pasta di Gragnano: le prime confezioni di pasta monodose, in linea con i trend sociali in atto.
- ArtCafè: birra al caffè.
- Antiaging italian food: formaggio grigio dell’Alto Adige, tiene a bada il colesterolo e riequilibra la flora intestinale. • Conservas Franco Riojanas (Spagna): cetriolini al miele.
- Acetificio Varvello: aceto di riso del Piemonte.
- Mida Più: burroliva (sinceramente straordinario, molto interessante).
La responsabilità
Sia ben chiaro, anche questa è una scelta arbitraria.
– Oleificio Zucchi: spiegata molto bene e con vari strumenti.
– Pivetti Molini: il Manifesto della sostenibilità, ben spiegato.
– La Molisana: pack in carta e la tutela delle foreste in Italia, Brasile e Madagascar.
– Vegola: l’unico stand visto che nella responsabilità cita anche il gender equality (complimenti).
– Barilla: uno stand ben disegnato con il campo di grano attorno e cartelli con i QR Code del Manifesto del grano duro e del pomodoro.
– Nestlè: gli obiettivi di responsabilità da raggiungere entro il 2030.
– Mielizia: cosa vuol dire la biodiversità.
– Pasta Zini: spiegata bene anche in inglese.
– Rolli: vegetali e primi piatti surgelati in busta di carta ben illustrati.
– Arrigoni: una lunga striscia, grande e ben visibile, sugli impegni della società.
– Casa Modena: vassoi in carta.
– Parmareggio: pack sostenibile e compostabile.
– Tonelli: le caramelle (vere e proprie) di formaggio grana, a proposito di educational.
– Casolet Val Sole (recentemente colpito da promozioni maldestre): è l’unico a citare il rispetto del tempo, oltre ché delle persone e della natura.
– Eurovo: anch’esso con una lunga e potente striscia sullo sviluppo della responsabilità.