Bruxelles (Belgio) – Areté, società specializzata nel monitoraggio e nell’analisi delle quotazioni delle materie prime agrifood, ha condotto uno studio per la DG Agri della Commissione Ue di valutazione della Direttiva Ue 2019/633 sulle pratiche commerciali sleali. Nel rapporto manca però qualsiasi riferimento alla vendita di prodotti sottocosto, come rileva Agrisole.
La consultazione degli stakeholder ha incluso oltre 130 interviste, tre survey con oltre 220 risposte e due workshop. Questi i criteri utilizzati: efficacia, efficienza, rilevanza, coerenza e valore aggiunto dell’Ue. Un primo assessment dell’efficacia delle misure è ancora limitato, segnala Areté. L’ultimo Paese si è infatti allineato a fine 2022, dunque molti aspetti sono in fase di consolidamento.
I pagamenti oltre 30 giorni per prodotti deperibili e oltre 60 giorni per gli altri prodotti restano tra le pratiche sleali più diffuse, anche se in calo rispetto alla situazione pre-Direttiva. Anche le modifiche unilaterali del contratto da parte dell’acquirente sono piuttosto diffuse.
Nei diversi Paesi Ue tra il 2021 e il 2023 sono state chiuse 1.887 indagini su pratiche commerciali sleali, il 26% delle quali ha portato all’accertamento di un’infrazione mentre 385 indagini (20%) hanno portato all’imposizione di una sanzione pecuniaria.
Secondo le analisi presentate nello studio, i costi per i fornitori sono almeno proporzionati ai benefici ottenuti. Solo un 7-8% di agricoltori e trasformatori ha riferito un aumento dei costi a causa della Direttiva.
“Per gli agricoltori, in particolare – si legge nel rapporto – i benefici sembrano superare di gran lunga i costi. Maggiori costi operativi sono stati invece riportati in capo ai distributori (grossisti, retailer), ma senza implicare danni economici particolarmente gravi o serie implicazioni operative per gli operatori interessati”.
I costi per le autorità nazionali dei Paesi membri (relativi sia al recepimento che all’applicazione della Direttiva) variano notevolmente da Paese a Paese, con un valore massimo di oltre 800mila euro e una media per l’UE27 di circa 200mila euro.
“Nel complesso – si legge nel rapporto – la Direttiva è considerata come un passo avanti significativo per la filiera agroalimentare e ha contribuito a fornire un livello minimo di protezione per i fornitori, comune a tutti i Paesi Ue. Tuttavia, i singoli Stati possono adottare o mantenere in vigore norme nazionali più severe che prevedono un livello di protezione più elevato contro le pratiche sleali e ciò si è concretizzato in una notevole eterogeneità nella legislazione nazionale di recepimento, che può creare difficoltà per gli operatori”.