ESTERI
“Giù le mani dall’olio di palma”. La voce dei paesi emergenti

2014-12-01T12:00:24+01:001 Dicembre 2014 - 12:00|Categorie: Dolci&Salati|Tag: , |

Kuala Lampur (Malesia) – L’olio di palma di nuovo al centro del dibattito internazionale. Da una parte ci sono i paesi industrializzati, che lo accusano di essere nocivo e causare il disboscamento delle foreste; dall’altra gli emergenti, che non sembrano più tanto inclini a lasciare che l’Occidente faccia il bello e il cattivo tempo a casa loro, come spiega un articolo pubblicato oggi su Il Sole 24 Ore. “La Malesia è ufficialmente impegnata sul fronte della sostenibilità, ma come Paese dobbiamo coniugare la sostenibilità con il diritto allo sviluppo della nostra popolazione”, commenta Douglas Uggah Embas, ministro per le piantagioni e l’industria dell’olio di palma della Malesia. Il secondo paese al mondo, dopo l’Indonesia, per volumi produttivi. Strumenti a difesa dell’ambiente già esistono, ma purtroppo alla fine, a dettare la morale, è ancora una volta il portafogli. Lo dimostra il caso della United Plantations, una delle tenute di palme malesi a più alto taso di responsabilità ambientale e sociale, che detiene il bollino Rspo: la certificazione voluta dalle Ong per riconoscere il prodotto non proveniente da aree deforestate. “Noi ci siamo adeguati, ma dov’è la domanda?”, chiede Carl Bek-Nielse, proprietario danese della compagnia. L’olio certificato costa infatti il 15% in più e alla fine della filiera non sono molti quelli disposti a pagarlo. “I più grandi acquirenti di olio di palma oggi sono la Cina, l’India, il Pakistan e la Nigeria. L’India da sola consuma più olio di palma di tutta la Ue 27. E nessuno di questi paesi sente il bisogno di comprare olio di palma certificato”, spiega Yusof Basiron, ceo del Malaysian palm oil council.

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