L’offerta ‘sovietica’ della marca privata forse è da rivedere (1)

2022-01-18T11:53:36+02:0018 Gennaio 2022 - 11:49|Categorie: Editoriali del direttore|Tag: , , , |

“Voglio portare il valore della marca privata al 35% del totale”: parole a musica sono di Francesco Pugliese. Un obiettivo che l’amministratore delegato di Conad intende raggiungere nel giro di due anni. Obiettivo ambizioso. In Italia la marca industriale, nella Distribuzione moderna, è all’80%. Per cui un balzo in avanti di questa portata è oggettivamente significativo.

Giusto? Sbagliato? A mio parere è una cazzata. Ricorda molto i piani quinquennali dell’Unione Sovietica. Che fallivano sempre miseramente. Anche perché i commenti che giravano all’epoca per Mosca, prima del 1991, erano questi: “In Urss non c’è disoccupazione. Ma nemmeno il lavoro…”. Oppure ancora: “Il governo fa finta di pagarci. Noi facciamo finta di lavorare”.

Considerazioni socio politiche a parte, andiamo ad analizzare la situazione della marca privata in Italia. La mia analisi è composta da due parti: una prima generale e una seconda con approfondimenti su Viaggiator Goloso e Gastronauta, due marchi privati che si distinguono dagli altri. Con un primo nota bene: sia ben chiaro, non sono contro la marca commerciale. Sarebbe stupido e antistorico. Ma si tratta di una medicina, per l’industria e la distribuzione, che va presa con cura e attenzione. Per evitare effetti collaterali.

Il secondo nota bene riguarda il metodo. Non siamo ideologici. Per questo andatevi a leggere il tour dei nostri giornalisti che hanno visitato alcune catene (da pagina 42 a pagina 53). Trovate una mappa aggiornata di come la Distribuzione moderna tratta la marca commerciale. Ma andiamo avanti, la prima domanda da porsi è la seguente: perché nel nostro Paese, diversamente da tutti gli altri in Europa, la marca industriale è così forte? Il motivo, a mio parere, è semplice. Il mercato alimentare italiano è fatto di cognomi: Beretta, Rovagnati, Barilla, Ferrero, Scotti. L’elenco potrebbe continuare a lungo. Si tratta quindi di aziende le cui fortune nascono all’interno di saghe familiari. Si comincia, ad esempio, con il bisnonno che aveva una piccola salumeria, il nonno la fa diventare una fabbrichetta, il papà spinge sull’acceleratore e la trasforma in un’azienda multinazionale. I figli, in teoria, dovrebbero continuare l’opera ma non sempre questo è avvenuto.

Ma, al di là delle fortune o sfortune della singola azienda, quello che mi preme far osservare è l’immagine che il consumatore ha sempre avuto rispetto a questo. La famiglia, o il singolo imprenditore, ci metteva e ci mette la faccia. Rappresenta una garanzia, un punto di riferimento assoluto. Ecco il motivo di tanta affezione. E, a supporto di questa teoria, come non ricordare quanto le facce degli imprenditori sono state utilizzate negli spot televisivi? Parlo di Rana, Amadori, Balocco, tanto per citarne alcuni. Tanto che, anche nella distribuzione, avviene oggi così. Il cavalier Podini di MD ne è un esempio lampante.

Ecco allora che la ‘sovietizzazione’ dell’offerta, come paventata da Francesco Pugliese, potrebbe
portare a un rigetto da parte del consumatore. Che, una volta entrato in Conad, tanto per fare un
esempio, e non trovando i suoi marchi preferiti, potrebbe dirigersi verso altri lidi. Forse mi sbaglio ma, da consumatore, preferisco la varietà, il trionfo della possibilità di scegliere, gli scaffali colorati non da un unico logo ma da tanti e diversi.

Da questo punto di vista il mio riferimento assoluto è Tosano, azienda di distribuzione veneta. Di recente mi sono recato a vedere il punto vendita di Schio, in provincia di Vicenza, inaugurato da poco. Uno spettacolo, una varietà di marchi straordinaria, con una profondità sia in verticale sia in orizzontale. L’offerta di vini, ad esempio, bagna il naso alle più rinomate enoteche italiane, con una collezione di Champagne spettacolare. Non parliamo dei freschi freschissimi, come pure del grocery. Sono un amante delle marmellate (bisognerebbe fare le giuste distinzioni fra composte, confetture e altro, ma non è questa la sede…). Per questo mi sono diretto subito allo scaffale. Fantastico, tutte le marche conosciute con in più qualche sorpresa di piccoli produttori. I prezzi poi sono veramente eccellenti. Mi dicono che le trattative con il loro buyer sono sempre all’ultimo sangue, ma questo è un altro film…

Certo, molto giova la formula del cash and carry unita al supermercato tradizionale, una scelta sicuramente vincente. Mi assisteva nella visita un giovanissimo appena entrato in redazione. Vedendo un carrello strapieno di merce e con molte bottiglie di vino e liquori, ho commentato: “E’ sicuramente un bar o un pub”. Logica la domanda del ragazzotto: “Come fa a saperlo?”. Altrettanto logica la mia risposta: “Lo so e basta. Adesso va alla cassa, paga in contanti e poi, all’uscita, strapperà lo scontrino. Vuoi fare una scommessa?”. Naturalmente l’ho vinta.

1a puntata (segue)

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