L’offerta ‘sovietica’ della marca privata forse è da rivedere (2)

2022-02-16T15:21:24+02:0016 Febbraio 2022 - 15:21|Categorie: Editoriali del direttore, Retail|Tag: , , |

L’editoriale di gennaio ha fatto discutere (clicca qui). Molti i commenti e le approvazioni da parte dell’industria. Come molti i mugugni e le prese di distanza da parte della distribuzione. Sostenevo che un’offerta troppo marcata di private label – c’è chi la ipotizza addirittura al 40% su tutte le referenze – è un errore grossolano. Poco realistico, in quanto non tiene conto della situazione particolare del nostro paese, e poco strategico. Chi lo compie rischia un salto nel buio.

L’analisi del nostro Pagellone della Gdo – che ha avuto un successo senza precedenti, con oltre 300mila visualizzazioni – lo ha ampiamente dimostrato. Costruire una Marca del distributore come Dio comanda non è semplice, né facile.

Una delle critiche più feroci al mio editoriale ha tirato in ballo i discount, laddove la Marca del Distributore è dominante. Mi è stato chiesto: “Allora Frigerio il tuo ragionamento sarà bellissimo ma con i discount, che hanno il 95% della loro offerta con marchio privato, come la mettiamo?”.

Obiezione corretta ma che non tiene conto delle grandi differenze fra insegne tradizionali e punti vendita che fanno del prezzo basso il loro punto di forza. E sta proprio qui la differenza. La scelta di eliminare i prodotti di marca va nella direzione di poter competere sul mercato attraverso condizioni nettamente differenti. Scelta obbligata dunque e non strategica.

Permettetemi poi una piccola digressione proprio sui discount. La nostra indagine sull’igiene e la pulizia del punto vendita, realizzata avendo come obiettivo proprio questa categoria, ha fatto emergere molte contraddizioni. Quando si parla di ‘Spesa intelligente’ occorre prestare attenzione a una delle componenti fondamentali a lato dell’offerta merceologica.

Diverso invece è il discorso su Il Viaggiator Goloso e il nuovo nato Gastronauta. Si tratta di due storie parallele che hanno come denominatore comune i loro creatori, ovvero Mario Gasbarrino, Gabriele Nicotra e i loro collaboratori. Tutto nasce all’interno di Unes, un supermercato che si differenzia dagli altri per la sua formula ‘Every day low price’. La scelta di puntare su un marchio ombrello che valorizzasse le eccellenze gastronomiche ha, nel tempo, avuto successo. Tanto che ha portato successivamente alla creazione di punti vendita monomarca a insegna Il Viaggiator Goloso. Da consumatore posso dire che ho sempre apprezzato i loro prodotti, frutto di una accurata scelta dei fornitori. Anche il mio povero papà ne era un’estimatore. Ricordo le meringhe con cui concludeva il pranzo. Fra le poche note liete di una vita, negli ultimi anni, segnata dal Parkinson…

Oggi Gasbarrino & C, fuoriusciti da Unes, hanno lanciato un nuovo brand: Il Gastronauta. I marchi – nome e logo – ideati dal giornalista e gastronomo Davide Paolini a fine anni ’90 sono stati acquisiti da Decò Italia, centrale d’acquisto nata due anni fa da Multicedi e Gruppo Arena. L’ex Ad di Unes e i suoi collaboratori, a cui si deve il successo dei prodotti Il Viaggiator Goloso, è stato chiamato in Decò proprio allo scopo di creare i prodotti a marchio del distributore. Le prime referenze sono state annunciate e sono già presenti nei punti vendita. Si tratta di prodotti sia freschi e freschissimi, sia del grocery, molti di piccoli produttori. Il pay off del marchio è infatti ‘Il ricercatore del gusto’.

In questi due casi non si è voluto appiattire l’offerta ma, anzi, elevarla a potenza. I prezzi dei prodotti Il Viaggiator Goloso sono, in media, più alti di quelli di marca. Non si è cercato il prezzo a tutti i costi ma solo la qualità, garantendo il giusto prezzo ai fornitori.

Un modus operandi nettamente diverso da altri. Ricordo ancora il titolare di una nota catena di discount che, davanti ai propri buyer, in una riunione di inizio anno si era così espresso: “Voi, ai fornitori, dovete strizzare le palle”.

Ecco allora che il discorso sulla marca privata si allarga e va a toccare le corde degli economics. Il giusto prezzo al sell in consente di valorizzare quei produttori medio-piccoli che fanno della qualità, della distintività e territorialità i loro punti di forza.

Come dicevo nel corso del Mezzogiorno di Fuoco con Giorgio Santambrogio, Ad di Vegè, e Luigi Rubinelli, la piccola media industria costituisce l’asse portante del nostro Bel Paese. E lo confermano i dati del Pil italiano che vedono le Pmi cubare ben il 95% del globale. Per questo occorre valorizzarle, sostenendole in maniera fattiva. In caso contrario poi non lamentiamoci se arrivano le multinazionali e si portano via i nostri gioielli di famiglia. Anzi, a volte, se non ci fossero proprio loro oggi saremmo qui a piangere sui posti di lavoro persi. La storia di Parmalat, ma non solo, ne è un fulgido esempio.

 

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