Nell’annuale incontro con i giornalisti, andato in scena ieri a Milano, il presidente ha affrontato diversi temi di mercato. Dallo scenario commerciale globale all’eterna competizione con i prodotti a marchio, fino al nanismo che affligge il sistema produttivo italiano.
Di Federico Robbe
Dobbiamo aspettarci una ‘guerra dei dazi’ nel 2025?
Mi sembra davvero illogico che vengano imposti dazi da parte degli Usa nello scenario attuale: stiamo andando verso un mondo complesso, in cui i conflitti divampano, e sarebbe meglio mantenere buone relazioni. Non ha senso limitare il flusso commerciale verso un partner storico come gli Usa: sarebbe una lotta fratricida. Il tema non è se i dazi danneggeranno l’economia o i consumatori – questo è chiaro – , il punto è chi sono gli alleati dell’Europa di oggi e di domani. Dunque non è un tema in primis economico, ma culturale e politico. Bisogna decidere verso che tipo di alleanze muoverci come Paesi democratici. A sua volta, l’Europa deve continuare un percorso di integrazione con una difesa comune e una omogeneità di tassazione.
Quali sono le altre priorità che deve avere l’Unione europea?
Sicuramente la sostenibilità: il cambiamento climatico è evidentissimo, pensiamo a quello che è accaduto recentemente in Spagna o negli ultimi anni in Italia. Ma non può essere solo l’Europa a muoversi. Occorre trovare il giusto equilibrio: la politica del Green Deal europeo rischiava di essere suicida, perché univoca e non tutelante.
Cosa pensa del recente accordo Ue-Mercosur?
È un accordo che si protraeva da tempo immemore e ha trovato una sua concretizzazione. Da quando sono iniziate le negoziazioni, però, il contesto è cambiato tantissimo: l’approccio alla sostenibilità del sistema europeo è molto più all’avanguardia di quello sudamericano, per esempio. Il rischio è che ci sia un’incompatibilità tra quello che viene richiesto alle nostre aziende e accordi che permetterebbero di essere più efficienti andando a produrre fuori dai paesi europei. Bisogna trovare meccanismi di aggiustamento rispetto a logiche mutate in modo sostanziale.
Quali sono oggi i tratti distintivi dell’industria di marca italiana?
Siamo un piccolo Paese con lo 0,8% della popolazione globale, eppure i nostri prodotti sono venduti in tutto il mondo. Non siamo produttori di grandi volumi, ma di grandi eccellenze. C’è anche da dire che oltre il 50% dell’export è fatto solo dallo 0,2% delle imprese, quindi abbiamo un problema di nanismo. Piccolo può essere anche bello; il nanismo non lo è di sicuro. Lavorare con dimensioni diverse ci permetterebbe di abbracciare in modo più sistemico il mercato. Quindi spero in una politica che incentivi percorsi di aggregazione.
Come legge la competizione tra Mdd e Idm?
Oggi la relazione tra Industria di marca e distribuzione è positiva. Senz’altro il fenomeno inflattivo ha portato a momenti di tensione, con accuse di ‘speculazione’ provenienti da varie parti. Di fatto industria e distribuzione sono state una barriera enorme all’impatto inflattivo. Guardando i bilanci, è chiaro che non c’è stata nessuna speculazione. Quanto all’Idm, mi sembra che sia sana e forte, e detenga una salda leadership con il 67% di quota di mercato. La partita Mdd-Idm è un po’ come la sfida tra Inter e Milan…
Ovvero?
È una partita infinita che si ripropone continuamente, e l’andamento dipende dal contesto e dalla capacità di innovare e creare valore attorno al brand. Ci sono alcuni momenti di maggiore slancio di una e momenti in cui è più dinamica l’altra. Nessuno vuole mettere in discussione la validità della Mdd, con il suo ottimo rapporto qualità-prezzo. Ma negli anni il contesto è profondamente cambiato, sia in Italia che all’estero. Ci sono Paesi stranieri in cui alcune categorie, nei decenni scorsi, erano dominate dalle marche commerciali e oggi sono quasi sparite, mentre in altre categorie è avvenuto il contrario, con le marche industriali preponderanti. Sicuramente registriamo una infinità di attori che hanno incrementato moltissimo gli assortimenti disponibili per il consumatore, sia in termini di qualità che di servizio.
Quindi la Mdd non sta erodendo quote all’industria di marca?
Dobbiamo leggere i dati in modo esaustivo: i discount 20 anni fa non vendevano prodotti di marca. Oggi il quadro è molto diverso. E i prodotti di marca stanno crescendo anche nei discount: secondo il nostro Osservatorio la percentuale di famiglie che hanno comprato almeno una volta un brand di marca nei discount è pari all’85,7% (Fonte: YouGov per Centromarca). Nel recente incontro a Milanofiori con la distribuzione, più di un’insegna ci ha detto che il suo futuro sarà sempre più concentrato sulla marca industriale. Nel lungo periodo, la crescita a volume della Mdd non porta necessariamente anche valore. Ci vuole un punto di equilibrio.
In foto, al centro: Francesco Mutti