Non c’è Rosi senza spine…

2022-07-22T12:41:09+02:0022 Luglio 2022 - 12:41|Categorie: Carni, in evidenza, Salumi|Tag: , , |

Condanna di primo grado per bancarotta fraudolenta nei confronti del vecchio management di Parmacotto: due anni e dieci mesi agli ex titolari e due anni e sei mesi per Marco Delsante. Nel mirino un finanziamento di 11 milioni di euro. Ottenuto tramite bilanci falsi e “artifici contabili”.

Vengono finalmente al pettine i nodi della vecchia Parmacotto. Una matassa che sta cercando di dipanare il Tribunale di Parma, e che riguarda Marco Rosi e il figlio Alessandro, titolari dell’azienda fino al concordato del 2014, oltre al responsabile amministrativo Marco Delsante. Fondata da Marco Rosi nel 1986, l’azienda ha saputo costruire un brand fortissimo in Italia e all’estero, con una miriade di progetti collaterali, dall’Horeca ai negozi monomarca in giro per il mondo, e spot Tv con star del calibro di Sophia Loren.

Una dinamicità imprenditoriale un po’ spregiudicata e arrembante, quella dei Rosi, che ha avuto conseguenze sugli equilibri finanziari del gruppo. Al 30 settembre 2015, le perdite arrivano a circa 100 milioni di euro. Ma nonostante questa gestione ‘allegra’ – e qui veniamo ai nodi – i finanziamenti arrivano. E non sono cifre di poco conto: nel 2011 vengono concessi 11 milioni da Simest, società pubblica che ha la finalità di sostenere e sviluppare investimenti produttivi e programmi di sviluppo di aziende italiane all’estero.

Negli ultimi mesi del 2014, anno in cui viene chiesto il concordato, Marco Rosi lascia la guida della società al figlio Alessandro. Intanto i commissari giudiziali scoperchiano un vero e proprio vaso di Pandora, tanto che nel 2016 viene disposto un sequestro cautelativo per presunta truffa. Due anni dopo si apre il processo e nei giorni scorsi il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Parma, Adriano Zullo, ha pronunciato la sentenza di condanna di primo grado nei confronti di Marco Rosi (due anni e dieci mesi), Marco Delsante (due anni con sospensione condizionale della pena) e Alessandro Rosi (due anni e sei mesi), ritenuti colpevoli di bancarotta fraudolenta.

L’accusa si inserisce nell’indagine della pm della Procura di Parma, Paola Dal Monte. Secondo gli inquirenti, come riporta Repubblica, “attraverso artifici contabili, false attestazioni e la conseguente falsificazione di un bilancio annuale d’esercizio” gli allora amministratori di Parmacotto “erano riusciti a far apparire una situazione economico-patrimoniale talmente fiorente da indurre in errore la Simest che erogava su richiesta dell’azienda stessa, un finanziamento di 11 milioni di euro”. Ciascuno degli imputati dovrà anche provvedere al pagamento delle spese processuali.

Ma non è finita qui: è stata disposta anche l’inabilità all’esercizio di un’impresa commerciale e lo stop all’esercizio di un ufficio direttivo in qualsiasi impresa per la durata di quattro anni ciascuno. Su Marco Rosi e Delsante, invece, cade l’accusa di distrazione di fondi. Questa la storia di ieri, una vicenda che continuerà sotto il profilo giudiziario ancora per un bel po’, pur con l’incognita prescrizione.

Oggi, invece, l’azienda gode di ottima salute grazie al rilancio avviato nel 2018, con la nuova proprietà di Giovanni Zaccanti e un manager capace come Andrea Schivazappa. Gli ultimi quattro anni parlano chiaro: business in continua crescita, l’acquisizione di Boschi Fratelli, la nascita di Parmacotto Llc per il mercato americano, una serie di novità di prodotto premiate dai consumatori. E poi un’attenzione alla sostenibilità nei processi produttivi e nel welfare aziendale. Interessante anche il sostegno a opere e attività, sia del territorio parmigiano sia di zone ‘lontane’, come dimostra il restauro delle catacombe di San Gennaro, in partnership con la cooperativa ‘La Paranza’. In margine a tutto questo lascia stupiti il silenzio sui media locali, con in testa la Gazzetta di Parma. Perché?

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