Felino (Pr) – Il salumificio La Felinese ha chiesto la cassa integrazione per i suoi 350 dipendenti. Tutti gli stabilimenti si trovano nella Zona di restrizione 2, estesa alle aree di Collecchio, Sala Baganza e Felino in seguito al ritrovamento di un cinghiale infetto a Fornovo. Da quest’area non possono essere esportati verso Canada, Stati Uniti e Giappone salumi al di sotto dei 400 giorni di stagionatura.
“Più del 50% del nostro export è diretto verso il Nordamerica”, spiega al Sole 24 Ore Cesare Baratta, Ad dell’azienda (in foto). “Da 15 anni il Canada è il nostro mercato principale, tanto che dal 2020 abbiamo anche un socio di minoranza canadese, la Premium Brands Holding Corporation. Erano pronti a investire nella creazione di un nuovo stabilimento in Italia”. Con la peste suina, è tutto fermo.
In base alla normativa europea, l’esportazione di salumi verso Stati Uniti e Canada potrà riprendere tra 12 mesi, se non verranno più ritrovati nuovi casi di cinghiali infetti nella Zona 2 di sorveglianza di Felino. Nel frattempo è scattata la gara di solidarietà degli altri imprenditori di salumi del territorio, al di fuori dell’area interdetta all’export, che hanno offerto le loro linee per continuare a produrre ed esportare. La Felinese auspica in questo modo un recupero del 30-40% di quanto non può più lavorare nei propri stabilimenti.