“In Eataly non c’era nulla di sbagliato”

2023-12-01T12:50:58+02:001 Dicembre 2023 - 12:50|Categorie: Aperture del venerdì, in evidenza, Mercato|Tag: , |

In occasione dell’apertura a Termini l’Ad Andrea Cipolloni fa il quadro del primo anno di attività dopo l’ingresso di Investindustrial come nuovo socio di maggioranza. Tra gli obiettivi anche la crescita della private label, con accordi di distribuzione mirati.

Di Andrea Dusio

Eataly apre a Stazione Termini, al primo piano del grande atrio che si affaccia sul Piazzale dei Cinquecento. Abbiamo incontrato nell’occasione l’Ad Andrea Cipolloni, che incarna il cambio di passo della nuova proprietà, subentrata nel 2022, ripianando le perdite e garantendo le risorse per i nuovi piani di espansione, in Italia e soprattutto nelle attività internazionali.

Partiamo dall’inaugurazione di stamattina. Termini rappresenta una bella sfida. Resta sempre una location difficile. E molto presidiata, anche da player che hanno qualche affinità con voi, come Mercato Centrale. Quali sono gli obiettivi di quest’apertura?

Termini rappresenta un biglietto da visita ideale per farsi conoscere non solo dai romani, ma anche da tutti quelli che transitano per una stazione che ha una pedonalità giornaliera senza eguali. Noi eravamo già presenti al Terminal 1 di Fiumicino, che oggi è probabilmente il miglior aeroporto d’Europa, e a Ostiense, ma le dimensioni della città sono tali da farci immaginare la necessità di aprire almeno altri due store. Non possiamo pensare che un cliente da Roma Est si sposti per andare a Ostiense. Dobbiamo essere noi ad andare incontro al pubblico, portando la nostra proposta là dove manca.

Quando avete aperto lo store di Ostiense ci arrivavano gli Italo. Poi la stazione come scalo nazionale ha perso di strategicità. Che andamento ha quel punto vendita ora?

Quello è ancora il nostro store più grande in assoluto. Una sfida certamente molto impegnativa, che però ha permesso di far conoscere ai romani le tante sfaccettature della nostra realtà.

In che modo?

Eataly è un luogo dove nello stesso momento è in corso uno show cooking, qualcuno sta cenando, altri fanno la spesa, magari c’è un festival. La sfida è riuscire a raccontare tutto quello che siamo, e nello stesso tempo far capire che, a prescindere dalla metratura e dal luogo, noi portiamo ovunque la nostra identità, in modo integrale.

Pochi giorni fa all’Università Bocconi ha dichiarato che chiuderete l’anno in positivo. Nel 2022 avevate 28,7 milioni di perdita. Come siete riusciti a raddrizzare i numeri, passando da una redditività operativa – cito sempre le sue anticipazioni – di 25 mln di euro a una di 41?

Un grosso contributo viene dal Nord America e, in generale, dalle attività internazionali, dove siamo impegnati a fondo a crescere ancora. In America oggi noi facciamo il 70% del fatturato, pari a 470 milioni di euro. Pensiamo di chiudere il 2023 con un ricavo superiore a 670 milioni di euro.

Sin dalla visione iniziale di Farinetti, Eataly è stata pensata per essere molto internazionalizzata. Recentemente avete aperto a Toronto, oggi qui, presto sarete in una stazione tedesca. In Nord America state per aprire a Soho (New York). Come cambiano format, mix, approccio?

C’è un po’ un luogo comune, secondo cui in America sarebbe tutto più facile per chi veicola il Made in Italy. Prima di tutto bisogna sfatare questo mito. Per avere successo occorre lavorare duramente anche lì. Nessuno ha la strada spianata. L’altro errore è pensare che Eataly cambi a seconda del luogo. Non è così. La nostra identità, la rappresentazione della nostra filiera, il racconto complesso che mettiamo in scena, è ovunque lo stesso. Questo ci consente di essere presenti a Soho come a Toronto, in una stazione o in un altro contesto.

L’apertura a Termini farebbe pensare che vogliate connotarvi più marcatamente come un travel retail. Cos’ha di diverso Eataly da chi si muove in questo segmento?

Sa in quanti ci stanno chiedendo di esserlo? Riceviamo continuamente proposte. Ma non è questione di location. Eataly è qualcosa di diverso. Noi andiamo dove possiamo essere sino in fondo noi stessi. Guardi questa nuova apertura. Siamo riusciti a concentrare in 700 metri quadri tutto il nostro concept, creando qualcosa che a Termini non c’era, generando 50 nuove assunzioni di personale qualificato e aprendo in cinque settimane dalla consegna degli spazi. Ci trova la pasticceria di qualità, la caffetteria, ma anche la nostra ristorazione, che ha le stesse caratteristiche degli store già presenti sul territorio, la pizzeria, le offerte del territorio, che occupano una parte consistente.

Ci sono anche i prodotti della linea a marchio. Per adesso conosciamo i panettoni. Ma si è detto che presto farete pasta, caffè e altro, e che venderete anche fuori dai vostri store, con 200/250 referenze. Avete accordi di distribuzione già in essere?

Ho fatto l’esempio di Harrods qualche giorno fa. Era solo un modo per identificare una certa tipologia di distributore e un target. È in quel tipo di realtà che vogliamo andare. Stiamo per concludere alcuni accordi, anche se oggi non possiamo ancora fare annunci. Sono convinto però che arriveranno a breve.

Voi avete ripianato perdite molto consistenti, con un investimento di dimensioni non usuali. Cosa c’era di sbagliato nella vision di Farinetti che andava corretto? E qual era la parte buona che invece vi ha convinti ad accettare una sfida senza il supporto iniziale dei numeri?

Di sbagliato non c’era nulla. Ci tengo a rimarcarlo con forza. Bisogna mettere in conto la difficoltà di avviare un progetto del genere su larga scala, farsi conoscere con le proprie caratteristiche, e fare in modo che il mercato ti capisca. Ora questo inizia a rivelarsi anche nei numeri.

In foto: Andrea Cipolloni e Maria Terracciano, store manager Eataly Stazione Termini

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