Lettera aperta a Giuseppe Caprotti

2023-11-10T14:25:08+02:0020 Ottobre 2023 - 12:36|Categorie: Aperture del venerdì, Editoriali del direttore, in evidenza, Retail|Tag: , , |

di Angelo Frigerio

Gentilissimo, ho letto tutto di un fiato il suo libro Le ossa dei Caprotti. Non sono stato invitato alla sua presentazione. E so il perché. Sono stato infatti l’unico giornalista italiano a parlare della sua disavventura in ‘QB Mercato e cucina’, dove pare abbia perso oltre tre milioni di euro. Ma ne parleremo più avanti. Ci siamo conosciuti, se non ricordo male, nel 1996. A quell’epoca ero direttore di una nuova testata, Sell Out, che si rivolgeva alla distribuzione moderna. Dopo vari tentativi di parlare con i manager di Esselunga, di fronte al muro di gomma dell’ufficio stampa, scrissi un lungo editoriale dal titolo: ‘Esselunga in silenzio stampa’. In modo ironico raccontai le difficoltà di parlare con la catena e ricordai che il silenzio stampa spesso poteva rappresentare un boomerang. Ricordai il buon Giussy Farina, ex patron del Milan prima dell’era Berlusconi, che, a furia di silenzi stampa, portò i rossoneri in serie B.

Scoprii più tardi che in Esselunga leggevano, come leggono tuttora, i miei pezzi. Mi chiamò lei, “in persona personalmente”, come dice l’appuntato Catarella nel Commissario Montalbano. All’epoca lei ricopriva la carica di direttore marketing di Esselunga. Era stato colpito dall’editoriale, voleva incontrarmi. Ci vedemmo al nuovo supermercato Esselunga di Paina, in provincia di Monza e Brianza, inaugurato da pochi giorni. L’incontro fu conviviale. Le era molto piaciuto il pezzo (ma è interista?). Mi fece fare un giro del punto vendita mostrandomi le novità introdotte. Ci lasciammo con un sorriso, una stretta di mano e una raccomandazione: “Mi raccomando non scriva niente. Mio padre non vuole che si rilascino interviste”.

Da allora ho sempre seguito le vicende della sua famiglia e per questo il suo libro mi intrigava. La saga dei Caprotti’s viene descritta nei minimi particolari. Un lavoro accurato: dal luglio 1952 ai giorni nostri. C’è di tutto: litigi, discese ardite e risalite, corna e bicorna, soldi tanti soldi, ripicche e vaffa a ripetizione. Ma quello che emerge con più virulenza è la figura di suo padre. Che viene descritto come: ingrato, violento, ossessivo, anaffettivo, assetato di potere, iroso, traditore, razzista.

A conferma di tali giudizi riporto di seguito, per i miei lettori, una serie di virgolettati tratti dal libro. Perché ingrato? Nonna Marianne aiutò i tre fratelli Caprotti, con 300 milioni di lire, nell’acquisto del 51% della Supermarket Holding SA, la futura Esselunga: “… ottenendo in cambio una promessa di rimborso che non verrà mai ottenuta”. La parola violenza viene ripetuta più volte: “L’ultima parte della vita della nonna fu particolarmente triste. Le continue e violente liti con nostro padre la costrinsero a traslocare… finendo ai margini della vita famigliare”. Non è una violenza fisica. Ad esempio, non picchierà mai la moglie Giorgina: “Ma la violenza e le umiliazioni possono passare anche attraverso le parole, capaci di colpire come fossero pietre”. L’ossessione sembra far parte della vita di Bernardo: “L’ossessione di un uomo che vuole mantenere il continuo controllo su ogni respiro della giovane moglie (Giorgina, sposata quando lei aveva 17 anni)”.

Ma come si comportava Bernardo con i suoi figli? “Mai un abbraccio o una carezza. Non pronuncia mai parole di apprezzamento: l’ironia che è il suo punto forte si trasforma spesso in sarcasmo”. A Bernardo, sempre secondo lei, non interessano i soldi: “A lui il denaro serve per esercitare il potere… Nostro padre gode nel veder sbiancare i dipendenti negli uffici che frequenta”.

Ci si stupisce inoltre quando lei cita un particolare della vita del padre. Il cui palazzo di via del Lauro a Milano è vicino alla Scala. Spesso, quando ci sono eventi importanti, molte auto vengono lasciate in modo scomposto davanti alla casa. Ecco allora che: “Passa alla giustizia fai da te. Quando qualcuno parcheggia davanti al portone va giù di persona e gli taglia le gomme”. Pensare a Bernardo Caprotti con il coltello fra i denti che scende incazzato a sistemare lui le cose, fa sorridere. Difficili e problematici sono poi i rapporti con i fratelli Guido e Claudio. I due dapprima si allontanano ma poi: “Mettono insieme i pezzi e si accorgono di essere stati ingannati da Bernardo”. Che attua: “Un pluriennale disegno per mettere sul lastrico, silenziosamente e in letizia, entrambi i suoi fratelli e le loro famiglie”.

Quando poi lei, Giuseppe, decide di andare a imparare il ‘mestiere’ negli Stati Uniti così la saluta: “Fammi un favore, non tornare con una negra”. Potrei continuare ancora ma mi fermo qui. Doveroso anche citare alcuni passaggi in cui lei ammette comunque il lato imprenditoriale del padre: “Mostra grandi capacità di organizzazione e gestione industriale… l’uomo che ha introdotto in Italia la filiera corta… introduce il primo centro Edp per la gestione del magazzino… surclassa i concorrenti in termini di efficienza e razionalizzazione… compie lo sviluppo dei suoi supermercati con molta intelligenza”.

Ma il capitolo più doloroso, e la madre di tutte le successive battaglie legali, è quello dedicato alle Mercedes nere. Siamo nei primi giorni del 2004. Lei è stato nominato amministratore delegato di Esselunga. Ma a suo padre non piace come sta andando l’azienda. Bernardo convoca una riunione di quadri e dirigenti. Ma non c’è nessun meeting: “Tre dirigenti, il direttore del personale e altri due vengono mandati via”. Un autista li accompagna nei loro uffici, gli fa lasciare sul tavolo le chiavi della macchina aziendale e li accompagna a casa con la Mercedes. Ma sono tre. Nel piazzale ne rimane una. Dopo poco se ne va via vuota. Lei va nell’ufficio del padre e chiede se la quarta Mercedes era per lui. Bernardo risponde ridendo: “Non ancora”.

Dopo aver raccontato per sommi capi il libro, è opportuno fare alcune considerazioni. La prima è che non c’è possibilità di contraddittorio. Bernardo è morto e nessuno al suo posto può contestare le sue affermazioni. Avesse pubblicato Le ossa dei Caprotti quando lui era in vita sarebbe stato meglio e più corretto. La seconda è che fare l’imprenditore è difficile. Lei lo sa bene. Nel 2009 aveva lanciato ‘QB Mercato e cucina’, ristorante e punto vendita di prodotti enogastronomici, aprendo ben cinque locali a Brescia, Milano e Genova. Un’esperienza fallimentare, come lei stesso racconta nel libro, chiusa nel 2014. La terza è che sempre di suo padre si tratta.

Capisco tutto: la voglia di rivalsa per essere stato ingiustamente, a suo dire, defenestrato; il desiderio di rifarsi una verginità raccontando la sua versione dei fatti; il senso di giustizia per essere stato accusato ingiustamente di malefatte. Ma Bernardo è sempre suo padre. Un uomo che le ha permesso di passare una giovinezza spensierata (Forte dei Marmi, St Moritz, castello di Bursinel in Svizzera), studiare alla Sorbona, viaggiare nei posti più belli del mondo, soprattutto avere una rendita che permette a lei, i suoi figli, nipoti e pronipoti di vivere agiatamente e senza problemi.

Aggiungo che oggi la sua dimora è ad Albiate (Mb) in una bellissima villa di famiglia circondata da un parco secolare. Ecco allora che forse il perdono sarebbe stato il sentimento giusto per seppellire liti e discordie. Non il rancore. La poetessa Alda Merini scriveva: “La migliore vendetta è vivere felici”. Ed è con questo augurio, per lei e la sua famiglia, che la saluto.

Torna in cima