Roma – Il trattamento minimo dei contratti alimentari è legato all’indice dei prezzo al consumo. Indice che varia molto da settore a settore: se in agosto, per esempio, complessivamente era a -0,5%, per l’alimentare ha registrato una crescita del +1,4%, gli alimentari non lavorati del +2%, gli alberghi e ristoranti del +0,4%. Dunque la percezione cambia molto da settore a settore, con il carrello della spesa che ha visto un incremento complessivo dei prezzi e un paniere complessivo che non riflette i beni che sono stati effettivamente consumati. Di queste differenze, però, l’indice italiano non tiene conto, a differenza di quello che avviene in Francia. Spiega a Repubblica Andrea Garnero, economista Ocse: “L’Insee [l’indice francese] ha introdotto per la prima volta indici di inflazione alternativi che tenessero in debito conto la variazione del tipo di beni effettivamente consumati nei mesi recenti”. Poiché in Francia il salario minimo è legato all’inflazione, “con i dati di aprile la differenza tra le due stime comporterebbe un aumento di 180 euro delle retribuzioni”. L’indice Istat quindi non è ‘sbagliato’, ma bisognerebbe tenere conto della sua composizione nel rinnovo dei contratti.
Cresce l’indice prezzi al consumo per l’alimentare
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