Le “bombe” di Pugliese

2023-07-04T10:21:37+02:0013 Dicembre 2013 - 11:59|Categorie: Retail|Tag: , , , , , , |

Articolo 62, banche, promozioni, De Girolamo e Consorzi. Il direttore generale di Conad a tutto campo.

Diretto. Esplicito. A tutto campo. Francesco Pugliese (nella foto), direttore generale di Conad, non tradisce le attese e, con il solito piglio, affronta le questioni del mercato. L’occasione è la presentazione del bilancio preconsuntivo dell’insegna, che si è svolta mercoledì 11 dicembre al palazzo Visconti di Milano. Tutto sul tavolo: dall’articolo 62, alla presenza al Brennero del ministro De Girolamo; dalla politica promozionale, alla revisione dei listini; dalla crisi dei consumi a quella della distribuzione. Senza ovviamente dimenticare i risultati di Conad nel 2013.

 

I risultati nel 2013

Una anno che si chiude, nonostante tutto, in positivo per Conad: giro d’affari a 11,5 miliardi di euro, in crescita del 5,4% (obiettivo minimo del 5%, nel 2014); quota di mercato a 11,3% (fonte: Guida Nielsen largo consumo), con un rafforzamento nel canale supermercati (18,2%, +0,6 rispetto al 2012) e negozi di prossimità (14,4%, +0,3%). Leader in Area 4, con il 14,7%: un primato rivendicato con forza: “Sappiamo cosa significa investire al Sud”, chiosa Pugliese. “Il leader di mercato, che dichiara di voler crescere nel Mezzogiorno, non è neppure tra i primi cinque player distributivi nell’Area”. Un contributo fondamentale ai buoni risultati dell’anno è arrivato dalla private label, cresciuta del 13% a 2,4 miliardi di euro, con una quota sul largo consumo confezionato pari a 26,3% (ben superiore alla media del mercato italiano, fermo al 19,2% secondo Iri) in crescita dell’1,26%. Marca commerciale sempre più al centro dello sviluppo di Conad. Anzi al vertice della “Piramide strategica”, l’immagine che fotografa le linee guida e i valori su cui costruire la crescita della catena nel triennio 2014-2016. Pl protagonista anche dell’iniziativa Bassi e fissi: un paniere formato dalle 30 categorie più presenti nelle abitudini di acquisto, (capire i bisogni del consumatore, invece di indurre i desideri inespressi, direbbe Pugliese) proposte a un prezzo contenuto e stabile, per gran parte dell’anno.

Un’iniziativa molto valorizzata nelle parole del management Conad, perché sembra costituire l’embrione di una più ampia visione commerciale. Innanzitutto per quanto riguarda il concetto di convenienza “che non deve essere sinonimo di basso prezzo”, spiega Pugliese. “Ma di convergenza ed equilibrio su un rapporto tra qualità e prezzo”. In secondo luogo per quanto riguarda la politica promozionale.

Promozioni

La strada per disintossicare la distribuzione da questa “nuova droga del mercato”, come la definisce Pugliese, porta a una revisione totale dei listini, che poggia sul doppio binario di basso e fisso, appunto. “Se la quasi totalità dei prodotti di una marca viene venduta in offerta, il prezzo di listino che senso ha? Nessuno. È indispensabile un prezzo più trasparente. Perché la redditività della grande distribuzione è allo 0,7%, mentre per l’industria di marca è al 7,4% (fonte: Mediobanca). Il piano Conad per il 2014 prevede una riduzione della pressione promozionale, per avere un prezzo continuativo più basso”.

Articolo 62

Conad quindi che si difende, in un contesto di crisi che continua ad attanagliare consumi e distribuzione, con una flessione dell’1,3% a volume per la Gdo nei primi 10 mesi dell’anno (fonte: Nielsen). Alla salute malferma della distribuzione, non ha certo giovato il colpo di vento dell’articolo 62. Secondo i dati Cribis D&B, i termini di pagamento previsti vengono rispettati solo da un’azienda distributiva su sei. Un risultato ben lontano (il 23% per la precisione) dalla media del mercato italiano (al 39,6%).

Sulla questione, Francesco Pugliese, non può che essere diretto:  “L’impianto dell’articolo 62 presenta delle storture al suo interno. A causa della nuova norma, nel 2013, Conad ha un flusso monetario inferiore di 458 milioni di euro. Liquidità che viene sottratta allo sviluppo”. Gli effetti auspicati sarebbero quindi lontani dall’essere raggiunti: “È stato introdotto a causa di alcune insegne francesi che pagavano con grande ritardo. Ma non ha favorito nessuno. In particolare le imprese agricole, per cui era stato pensato. Ha, invece, introdotto onerose procedure burocratiche. E ha penalizzato anche le grandi industrie alimentari, alcune delle quali si finanziavano grazie al ritardo nei pagamenti. I vantaggi sono stati inferiori agli svantaggi, tant’è vero che abbiamo registrato la disponibilità dell’industria di marca a sedersi intorno a un tavolo per discutere di eventuali modifiche”. A beneficiare dei 4,5 miliardi di euro di liquidità, fuoriuscita dai conti della distribuzione, sarebbero state le banche: “Gli istituti di credito hanno visto rientrare le criticità di alcune industrie e hanno avuto a disposizione denaro da utilizzare in altre forme di impiego”. Ma quali gli interventi migliorativi alla legge? Pugliese ha le idee chiare, soprattutto se si parla di grandi marchi: “Bisogna tutelare le imprese agricole, potenziare i controlli per l’industria e la distribuzione che non rispettano i termini. Allo stesso tempo è necessario mantenere la clausola del ‘salvo diverso accordo tra le parti’ (previsto dalla normativa europea sui pagamenti, ndr). Soprattutto quando si tratta con grandi industrie, con quote di mercato tali da garantire loro una reale posizione di forza nelle contrattazioni”.

La filiera

Altro “vulnus” nel sistema distributivo italiano è il costo della filiera. Il 25% della spesa alimentare viene perso in logistica, trasporti, energia, packaging e costi promozionali. Un sistema che manca di competitività e che è quasi “antieconomico”. “Invece di fare demagogia e confusione, nelle sue proteste Coldiretti dovrebbe affrontare questi temi”. E precisa: “Su alcune questioni l’Associazione ha ragione, ma non bisogna strumentalizzare e promuovere lo scontro, perché è solo una guerra tra poveri. Occorre lavorare in modo condiviso e ragionare in modo costruttivo. Bisogna fare un discorso di equilibrio per rendere più forte e redditizia questa filiera. Puntare solo sul prodotto italiano non basta, anche perché siamo lontanissimi dall’autosufficienza di materie prime. Le aziende che producono prosciutto anche con cosce estere creano lavoro e ricchezza in Italia”.  Lapidario il commento alla visita del ministro al Brennero: “Ha fatto bene, perché ci sono tanti voti”. Pugliese richiama anche la necessità di aggregazione nel settore agricolo. Con espressioni colorite: “Piccolo e bello, una fava. Per quanto riguarda gli agrumi, Conad ha oltre 30 fornitori, Leclerc, con un fatturato superiore ai 40 miliardi di euro, ne ha solamente due, spagnoli. Recentemente ho potuto visitare alcuni supermercati in Francia: l’unico prodotto italiano che ho trovato è stato il finocchio, per il resto sono tutte produzioni francesi. Non è che Oltralpe non ci siano imprese famigliari, ma c’è aggregazione. La nostra filiera, ora, è il 35% più cara: assolutamente antieconomica”. Non risparmia neppure una frecciata ai consorzi di tutela: “I regolamenti sono medievali. È possibile che un prosciutto di Parma affettato negli Usa, non si può chiamare Parma? Anziché fare protezionismo, strumentalizzato da qualche associazione compresi i consorzi, sarebbe meglio effettuare controlli sulla merce in ingresso e in uscita e dare la possibilità di utilizzare il marchio. Ma la questione riguarda anche il mercato interno: se un’insegna vuole offrire degli affettati, deve rivolgersi a tanti centri di affettamento, pari a quanti sono i consorzi di tutela dei salumi italiani. Paradosso dei paradossi: il grana padano si può grattugiare in tutte le parti d’Italia, meno che nella zona di Parma, dove c’è il parmigiano reggiano, mentre il parmigiano solo a Parma. Il motivo è che se li grattugi nella stessa area si fanno concorrenza a vicenda. Così si creano tanti impianti di lavorazione piccoli che poi risultano inefficienti perché non hanno un’adeguata capacità produttiva. E al cliente arriva un prodotto che più caro non si potrebbe. Questo significa ammazzare la filiera agricola”.

La polemica con Caprotti

Nel corso della conferenza c’è tempo anche per una dichiarazione sul confronto “epistolare” di qualche mese fa, tra Bernardo Caprotti e Francesco Pugliese. Il patron di Esselunga aveva polemizzato con le catene cooperative concorrenti, Coop e Conad, per presunti appoggi politici, in particolare nell’apertura di alcuni punti vendita: “A Caprotti ho risposto e non ho avuto repliche, quindi presumo si sia convinto di quello che ho dichiarato. Siamo venditori al dettaglio, non abbiamo legami con la politica o con un partito rispetto a un altro”. E alla domanda se il “pensionamento” annunciato, dall’imprenditore milanese potrebbe aprire a un’espansione di Conad al Nord, area in cui l’insegna è meno presente, risponde: “Non saremmo mai in grado di fare un’operazione nei confronti di Esselunga. Nessun player italiano potrebbe. Ammesso che si stia pensando a una vendita, cosa di cui dubito visto che l’azienda è florida ed ha un management solido. Chiunque acquisisca Esselunga, può fare solo peggio, perché Caprotti ha creato un modello unico e difficilmente replicabile. In questo è stato davvero un mago, come recitava una sua vecchia pubblicità”. Possibili invece altre acquisizioni: “In questo momento è in vendita mezza Italia. Non ci tireremo indietro, se dovesse presentarsi l’operazione giusta. Siamo ben consapevoli che ora il prezzo, lo fa chi compra, non chi vende”.

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