Super Mario alla riscossa: “Mi piacciono le sfide impossibili”

2022-02-25T14:37:10+02:0025 Febbraio 2022 - 14:27|Categorie: Aperture del venerdì, in evidenza|Tag: , , |

Faccia a faccia tra Angelo Frigerio, Luigi Rubinelli e Mario Gasbarrino, Ad di Decò Italia. Focus su marca privata, richieste di aumento dei listini e altro ancora. Un confronto serrato e senza sconti.

Mercoledì 23 febbraio, alle ore 12.00, sul canale YouTube di Tespi è andato in onda il nono appuntamento di ‘Mezzogiorno di fuoco’, il format online che racconta di mercato e dintorni. Un ring virtuale: da una parte, il nostro direttore Angelo Frigerio (AF) insieme al noto giornalista Luigi Rubinelli (LR); dall’altra, un operatore del food. Domande brevi, risposte concise. L’ospite di questa puntata è stato Mario Gasbarrino (MG), amministratore delegato di Decò Italia. Ecco com’è andata.

LR: Entriamo nel merito del progetto di Decò Italia. A che punto è la ricerca di nuovi associati o aziende interessate?

MG: È ancora al punto di partenza. Il progetto Decò Italia nasce da un’idea controcorrente pensata dai due azionisti, Giovanni Arena e Claudio Messina, che hanno voluto costruire una alleanza dal basso tra due aziende che già facevano parte della centrale VéGé. Arena e Multicedi operano in due territori ben distinti, ma hanno entrambe un fatturato superiore al miliardo di euro e potrebbero benissimo stare in piedi da sole. Hanno però deciso di mettersi insieme all’interno di un progetto nato per condividere l’insegna, quella di Decò, e per sviluppare una linea di marche private da vendere in everyday low price. Di aziende così non se ne vedono tante, ed è per questo che mi sono innamorato del progetto. Mi piacciono le sfide impossibili, ma che abbiano un senso. Noi dobbiamo concentrarci sul far accadere le cose. Se poi qualcuno si innamora del progetto, la porta è aperta.

AF: Parliamo del Gastronauta, il marchio d’alta gamma di Decò Italia. Davide Paolini ve lo ha venduto a caro prezzo?

MG: Per quello che abbiamo comprato, posso dire che lo abbiamo pagato tanto. Mi auguro però di poter dire, a fine progetto, di averlo pagato poco. Spero nel frattempo di svilupparlo a dovere. Non abbiamo acquistato solo un marchio. Dietro al Gastronauta ci sono anche dei valori. Il libro di Paolini da cui abbiamo tratto ispirazione per il brand si intitola ‘Le ricette della memoria e l’arte di fare la spesa’. Nel preambolo Paolini scrive: “Risparmiare è un’arte, che non ha nulla a che vedere con il fare la spesa durante le grandi offerte. Ci sono prodotti che per la loro qualità intrinseca costano troppo, anche se il prezzo di partenza è basso. Risparmiare significa fare un acquisto il cui rapporto tra qualità e prezzo sia vantaggioso. Né il sottocosto, né la sopravvalutazione assicurano la qualità di un cibo”. Lui lo ha scritto nel 2007, lo stesso anno in cui io iniziavo la mia avventura in Unes. Era come se queste due aziende fossero destinate a incontrarsi. Le parole di Paolini, all’epoca, ci diedero conferma di aver fatto la cosa giusta. Dietro a questo marchio ci sono valori storici, con cui noi ci stiamo muovendo.

LR: Quanto ha venduto il Gastronauta da dicembre 2021 a oggi?

MG: Siamo all’inizio del progetto. Non abbiamo una stima di riferimento. Tuttavia, i risultati ottenuti sono al di sopra di ogni aspettativa. In alcune categorie, poi, i prodotti del Gastronauta hanno venduto 10 volte il prodotto promozionato che sono andati a sostituire. E vi dirò di più. Dopo 35 anni ho rincontrato Vincenzo Brandani, proprietario di Maina. Pensava fossi pazzo per aver messo in vendita i panettoni a marchio Gastronauta a 7,90 euro in Sicilia. I numeri, in realtà, ci hanno premiato e questo mi ha confermato che non esiste alcuna differenza antropologica tra il consumatore del Nord Italia e quello del Sud. Certo, non è detto che quello che si vende al Nord si venda per forza anche al Sud. In questo senso, abbiamo però avuto un grande vantaggio. Arena e Multicedi sono aziende con un miliardo di fatturato e con una banca dati ampia. Non siamo entrati in un mercato sconosciuto, ma ci siamo avvicinati con umiltà e intelligenza. Ho dovuto lottare non poco per inserire certi prodotti, ma poi ho fatto i complimenti al compratore che ha avuto la capacità di cambiare idea e di acquistare un prodotto che, inizialmente, pensava fosse differente.

LR: Qual è la forbice di prezzo tra il Gastronauta, la marca industriale e i prodotti a marchio?

MG: Io sono un teorico del gioco a due punte. Il concetto di base è la democratizzazione del consumo. La marca privata, pur essendo di buona qualità, ha un prezzo everyday low price, e quindi ha un posizionamento basso. La usiamo come entry level, e questo significa rendere la qualità accessibile a più consumatori possibile. Lo stesso vale per il Gastronauta. Il leader è 100, il posizionamento premium è 160- 180, e il nostro obiettivo è posizionarlo tra il 110 e il 120. È chiaro che questo non si riesce a fare su tutte le categorie, anche perché il 100 lo fa il leader. Ci sono dei prodotti dove il leader riesce ad aver un surplus di prezzo molto forte a prescindere dal food cost, e quindi se c’è molto spazio può arrivare fino a 110. In questo momento, però, questa dinamica sta diventando complicata. Il prezzo delle materie prime è lievitato ed è quindi difficile ragionare in termini di posizionamento. I prodotti subiranno aumenti del 10-15% da un momento all’altro. Per ora stiamo tenendo botta, ma il consumatore italiano non ha ancora toccato con mano i veri aumenti di prezzo. Alcuni li abbiamo assorbiti noi.

LR: Quanto incide il marchio Decò sul fatturato?

MG: Siamo intorno al 14,5-15%. La percentuale è abbastanza allineata con le altre realtà del Sud, dove la marca privata è sempre stata più bassa rispetto al Nord. Il nostro obiettivo, forse ambizioso, è di portarla al 30% in tre anni. Da una parte è una bella sfida, ma dall’altra lo considero il minimo sindacale. Pur essendo laureato in matematica, non ho mai creduto più di tanto nell’importanza del budget. Sono più interessato ai consuntivi. Se le cose vengono fatte in un certo modo, poi raccogli quello che il mercato ti permette di raccogliere. Io mi concentro molto sulle cose, sulle strategie e sul posizionamento, ma poi bisogna farle bene. Il 30% di Mdd può essere tanto come può essere poco. In Italia la media nazionale della marca privata si aggira intorno al 20%. Ci sono player che toccano anche il 30% e altri che invece hanno quote inferiori. La Mdd è un misuratore della modernità della rete distributiva. È chiaro che una marca privata bassa dipende, oltre che da una strategia precisa, anche dal fatto che non ci sono i volumi e che c’è molta polverizzazione. Ciò non vuol dire che l’Industria di marca non debba esistere. Il problema vero è domandarsi quale debba essere il giusto rapporto, anche nei confronti del cliente.

AF: Tornando al discorso delle punte, abbiamo capito che il giallo come colore non ti piace molto. E non sto parlando del Villarreal… [Allude alla linea Smart di Esselunga, ndr].

MG: No, però lo capisco perfettamente. Di base non ci deve mai essere un elemento di presupponenza. Di fronte a certi numeri, non posso che togliermi il cappello. Normalmente le aziende cambiano quando hanno necessità di cambiare. Ce ne sono alcune che funzionano talmente bene, perché cambiare allora? Oggi facendo un viaggio in treno, non si percepisce nemmeno la differenza tra prima e seconda classe. Abbiamo sdoganato questi discorsi. Pensiamo a Ikea e Zara. Negli anni ’60 se andavi alla Upim eri uno sfigato. Oggi vai da Zara e lo fai vedere a tutti. Ecco perché lavorare ancora in un concetto di tre punte non ha più senso. Ciò non vuol dire che non può funzionare. Però se lo fai, lo devi fare completamente. Non puoi fare un everyday low price della marca privata, un premium accessibile e anche un ‘primo prezzo’. Dove lo metti? Con il posizionamento di Decò non ho spazio per un ‘primo prezzo’, certe cose si sovrapporrebbero. Se non posizioni bene la tua marca privata, come fai a mettere un marchio premium a 110 o 120? Va a finire che si incrocia con il prodotto a marchio Decò. Sono due logiche diverse, bisogna decidere. Faccio un esempio per meglio chiarire la questione. Vogliamo creare una società di costruzioni, ci mettiamo insieme. Per prima cosa bisogna decidere cosa costruire: villetta a schiera o grattacielo? Spesso, una delle problematiche è che non ci si concentra abbastanza su quello che si vuole fare, ma si pensa subito alle rifiniture interne. Ma come faccio a concentrarmi sugli interni se ancora non ho deciso se costruire un grattacielo o una villetta a schiera?

LR: Il Gastronauta e il marchio Decò vanno in promozione?

MG: No, nessuno dei due marchi va in promozione. Ci va l’Industria di marca, tutta: prima, follower, locale. Poi, ad esempio, all’interno di Multicedi c’è un canale che si chiama Dodecà, composto da 17 pdv. Dodecà significa ‘12 volte conveniente’. Ed è un everyday low price.

LR: Però Arena, che segue la stessa logica, ha tra i suoi asset i negozi ‘Superconveniente’. Giusto?

MG: Giusto, però i ‘Superconveniente’ non entrano nel canale Decò. E non includono prodotti Decò. Sono referenze dell’Idm su cui si applicano promozioni. È un formato che sta andando bene, su cui Arena sta investendo molto, ma non include né prodotti Decò né Dodecà.

AF: Parliamo ora di innovazione. Quando si può definire un’insegna innovativa?

MG: Un retailer si può definire innovativo quando inizia a credere che la marca privata è strategica ed è più importante della marca leader. Quando pensa che le supercentrali sono un male necessario, che devono cambiare, o che i contributi promozionali sono degli sconti differiti. Un retailer deve ragionare in una logica di prezzo d’acquisto netto. È innovativo quando crede che certe liturgie da Prima Repubblica, come il rinnovo di contratti legati a vincoli di assortimento, sono vecchi e datati. E che, forse, in Italia ci sono troppi centri decisionali e Cedi che andrebbero razionalizzati. L’insegna è innovativa anche quando pensa che il negozio del futuro non sarà solo fisico né digitale, ma sarà omnichannel. Quando pensa che sui reparti freschi non possiamo continuare a dire e fare sempre le stesse cose. E quando capisce che le persone che lavorano nel pdv sono il vero punto di forza, il vero petrolio per ‘combattere’ i discount e l’ecommerce. Quante aziende simili ci sono in giro? È chiaro che non bisogna avere tutte queste caratteristiche, ma alcune sono fondamentali.

AF: Un’ultima domanda. Concederete gli aumenti di listino?

MG: La mia visione riguarda solo i prodotti a marchio. Non è il momento giusto per fare gli eroi. Bisogna riuscire a riconoscere gli aumenti giustificati da quelli che, in realtà, non lo sono. Perché molte aziende se ne approfittano. Avendo a che fare con la marca privata, da un certo punto di vista subiamo aumenti che, in percentuale, sono più alti di tutti. Ma oggi alcuni elementi sono oggettivi, e si rischia grosso. Avendo sempre avviato rapporti di collaborazione con le aziende, non posso venir meno al mio ruolo di partner anche in questo preciso momento. Non posso essere partner solo quando le cose vanno bene. È chiaro che, poi, bisogna stare attenti a come si muovono i competitor e questo rende il tutto un po’ difficile. Il nostro sistema, purtroppo, è molto competitivo, a volte inutilmente. Chi poi ha fatto il brillante, in certi casi, è tornato sui suoi passi e ha dovuto cambiare il proprio slogan…

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